Il Presidente: Discorsi

L'economia dell'uomo. La rinascita dell'Italia nell'era del quarto capitalismo

Discorso pronunciato al convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria
Santa Margherita Ligure

9 Giugno 2006

Signore e signori,

nel ringraziarvi per l'invito che mi è stato rivolto, a prendere parte ai lavori dell'annuale convegno dei Giovani Imprenditori di Confindustria, esprimo convintamente l'apprezzamento per il tema posto al centro della comune riflessione perché mi pare, insieme:

  • tema contemporaneo, nel senso di questione propria del tempo che viviamo,
  • e tema eluso, in omaggio forse a culture o sistemi di pensiero prevalenti negli ultimi decenni, nei quali sfocava il ruolo della persona, dell'individuo.

Mi sono interrogato, nei giorni scorsi, sul tema del vostro Convegno e ho cercato di riflettere sul contributo concreto che, alla luce della mia non breve esperienza sociale e politica, avrei potuto offrire.

Mettere l'uomo al centro dell'economia e della società non è, infatti, solo una bella, ed etica, intenzione.

Lungo tutto il Novecento - nel pensiero più attento e profondo - è stata questa l'indicazione che è venuta emergendo con forza, contrastando quelle ideologie totalitarie che vedevano lo Stato come bene assoluto.

Nella crisi delle ideologie credo che si possa evidenziare con forza come l'insegnamento sociale della Chiesa rimanga, con certezza, il riferimento di maggior attualità e pregnanza.

Un insegnamento che ha sempre puntato, a partire dalla Rerum novarum, a liberare l'uomo da gabbie sociali antiche, a liberare le sue energie e la sua creatività, per fare di queste energie diffuse il motore di un nuovo sviluppo e di un equilibrio sociale più giusto.

In questi brevi tratti ci sono, a mio parere, gli stessi caratteri, più forti e più incisivi, della nostra Repubblica.

Questa mattina, in un piccolo Comune in provincia di Milano, 200 giovani che compivano 18 anni - e ai quali il Sindaco mi ha invitato a voler consegnare la nostra Costituzione - hanno vissuto una bella esperienza di battesimo civile.

Una tensione viva mi è parso di scorgere anche nelle parole che il Vostro Presidente - il dottor Colaninno - ha sviluppato nella sua Relazione.

L'articolo 3 della nostra Costituzione dice che: «E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Ho voluto richiamare questo Principio fondamentale della nostra Carta comune perché lì emerge, con straordinaria nettezza, il principio fondante la nostra democrazia: la centralità della persona umana.

Così come emerge, con altrettanta evidenza, il compito della Repubblica che non è certo quello di sostituirsi o sovrapporsi, con proprie Organizzazioni, a ciò che le persone possono fare da sole, ma è piuttosto quello di rimuovere tutti gli ostacoli che frenano e impediscono il pieno sviluppo della persona, in tutte le sue dimensioni e capacità.

Vedo qui racchiusa, e sintetizzata, larga parte della riflessione che permea anche il Vostro lavoro e il Vostro ragionamento. Garantire, cioè, il "pieno sviluppo" della persona che non è solo una logica, per dir così, di "difesa da" ma è anche, una azione di "spinta per", costruendo le condizioni perché gli individui possano mettere a frutto le capacità di iniziativa, di creazione, di cambiamento, di autonoma responsabilità.

Nel precedente articolo 2 si dice, anche, che: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».

Mi pare di poter dire con certezza che, tra le formazione sociali nelle quali l'uomo svolge la sua personalità, vi è, anche, l'impresa, intesa come aggregato di persone, come gruppo che opera per uno scopo comune.

Dunque, per questa via, giungo direttamente al tema della riflessione di oggi. Che incrocia, naturalmente, la condizione complessiva dell'economia del nostro Paese.

Non sto qui a dilungarmi in analisi congiunturali, né ad esercitarmi nell'elencazione di percentuali, stime e indicazioni a voi ben note. Lo stato di salute del nostro Paese desta legittime preoccupazioni che, non a caso, hanno trovato eco nelle recenti Considerazioni del Governatore della Banca d'Italia, come pure nella Relazione del Presidente di Confindustria.

Stiamo emergendo a fatica, e a rilento, da una situazione di ristagno dell'economia, dovuta non solo alle incertezze del quadro internazionale, ma anche ad alcune rigidità del nostro sistema economico e sociale che frenano, che impediscono, lo sviluppo delle iniziative in termini nuovi.

Competitività e produttività del nostro apparato produttivo segnalano soglie particolarmente deboli. La stessa occupazione, soprattutto delle donne e dei giovani, resta tra i livelli più bassi nella media dei Paesi dell'Unione.

Senza il cospicuo - e necessario - apporto della manodopera immigrata anche gli indici complessivi sarebbero assai meno positivi di come appaiono.

Nel dirvi queste cose non credo proprio che si debba indulgere a quella retorica del declinismo, che ha contraddistinto larga parte del nostro dibattito politico negli ultimi due anni.

Una retorica che ha dato anche più spazio di quanto sia, concretamente, possibile a quei profeti di un'economia leggera che - insieme ad alcune cose buone e utili (come la valorizzazione delle potenzialità locali, culturali e naturali dei nostri territori) - coltiva anche una prospettiva post-industriale che potrebbe finire per essere anche anti-industriale.

Il nostro è, e rimarrà ancora a lungo, un forte Paese industriale. Un Paese industriale fra i più importanti del mondo, con un apparato produttivo tra i più originali e qualificati.

Una originalità e una qualità che devono trovare un nuovo slancio creativo collegandosi ancora di più alle nostre migliori tradizioni culturali, alla nostra storia, alle nostre capacità artigiane ed artistiche, alla nostra antropologia, alle nostre tante identità locali e alla nostra identità comune.

A me pare che il Governo, ascoltando quanto ha esposto alle Camere, abbia consapevolezza di questa situazione e, pur non entrando nel merito delle proposte e delle ricette in esame in questi giorni, credo giusto riconoscere all'Esecutivo, nel suo complesso, di aver individuato, subito, il problema dei problemi dell'Italia, ovvero la ripresa economica.

L'andamento congiunturale offre già primi segnali incoraggianti. Ma cosa serve all'azienda Italia per rimettersi in corsa?

Voi, qui, puntate l'accento sul cosiddetto "quarto capitalismo", ovvero su una struttura produttiva centrata sulle media aziende o su aggregati di piccole aziende a rete che, in effetti, in questi anni si sono distinte per caratteristiche di "avanguardia" anche sul piano internazionale, tant'è che per esse è stata coniata anche l'espressione di "multinazionali tascabili".

Mi convince, pienamente, questa visione evolutiva di quella che è stata, per oltre 3 decenni, l'economia tumultuosa delle piccole imprese in crescita, di centinaia di migliaia di piccolissimi imprenditori scatenati alla ricerca di un successo che c'è stato, assai forte, negli anni '80 e nei primi anni '90.

Ma cosa possiamo fare per rilanciare la nostra economia, per vincere la sfida della competitività nel mercato globale, che è anche la sfida per una nuova creatività, ed una maggiore produttività? Credo, anzitutto, che le necessarie misure di controllo dei conti pubblici, e di riduzione del disavanzo e del debito, non debbano limitare l'impegno di tutte le nostre energie a sostegno dello scenario di ripresa dell'economia in Europa e nel mondo.

Rigore finanziario, dunque, non fine a se stesso, ma come misura per sostenere e liberare, da subito, energie per lo sviluppo. Impresa, questa, non semplice, ma, a mio avviso, indispensabile.

Le misure da intraprendere credo debbano andare, subito, ad esempio, ad attenuare il peso degli oneri fiscali che grava sul costo del lavoro. La riduzione del cuneo fiscale, in modo significativo, mi sembra una misura tonica per il sistema, per accrescere subito la competitività dei nostri prodotti nei mercati internazionali.

Così come mi sembra urgente, e utile, intervenire con provvedimenti sociali moderni a sostegno di un mercato del lavoro che, da flessibile, non deve divenire strutturalmente precario.

Su questo tema del mercato del lavoro tornerò più avanti nel mio intervento.

Credo che si debbano anche, finalmente, assumere quelle politiche di valorizzazione strutturale del nostro capitale umano senza le quali la nostra rincorsa sarebbe vana, perché non farebbe leva sulle nostre energie più importanti che sono i nostri giovani, i lavoratori italiani di ogni condizione, le donne, gli stessi anziani.

Dobbiamo sostenere con forza - fuori da calcoli elettoralistici di breve periodo - il rilancio della nostra scuola (sia quella generale che quella tecnica), il potenziamento delle Università, gli investimenti nella ricerca, la creazione di reti tecnologiche diffuse per la circolazione delle conoscenze e delle informazioni, per liberare le persone dagli impedimenti che frenano e impediscono lo sviluppo aperto e creativo.

Dobbiamo avere il coraggio di premiare il merito, non per penalizzare gli altri, ma per valorizzare chi ci mette qualcosa di più, chi ci crede di più.

La nostra società sta rapidamente invecchiando: siamo, praticamente, quasi i primi nel mondo in questa tendenza.

Su questo fenomeno non abbiamo ancora una visione lucida: certo, c'è bisogno di più servizi sanitari e di pensioni minime più decenti. Ma, soprattutto, a mio parere, c'è bisogno di non escludere dalla vita economica e sociale, troppo presto, questo enorme capitale umano di esperienza e di capacità.

Dobbiamo costruire le formule giuste, equilibrate, che facciano leva sulle aspettative delle persone che, in moltissimi casi, sono quelle di poter continuare a produrre, di poter ancora partecipare alla vita economica e sociale a pieno titolo.

Consentitemi ancora un riferimento al tema concreto del risparmio, della ricchezza privata. Abbiamo, nel nostro Paese, capitali liquidi enormi, attratti solo dal settore immobiliare. Trovo che sia veramente assurdo che un Paese moderno non riesca a darsi regole serie, capaci di attirare gli investimenti privati verso finalità collettive che possano assicurare un giusto rendimento.

Sono tutte queste, e altre che non ho citato, sfide aperte, e direi anche interessanti, per la politica perché chiamano in causa la sua stessa capacità - non semplicemente di approvare norme - ma di orientare i processi, di declinarsi al futuro e non di esaurirsi in una gestione, spesso sconsolata, dell'esistente.

In più, proprio questa nuova dimensione dell'economia, chiama in causa un protagonismo personale, una capacità di intraprendere, di creare, di osare, che può far compiere uno scatto in avanti al Paese nel suo complesso e che, per questo, deve essere accompagnata da uno sforzo corale della politica, delle istituzioni, delle Organizzazioni sociali e, non certo per ultimo, dalle Università e dai Centri di ricerca.

Tutto ciò deve avvenire, soprattutto, attraverso un coinvolgimento delle nuove generazioni che, oggi, sono spesso ai margini dei processi di crescita.

Ho apprezzato molto che, nel Governo, siano state delineate e affidate alcune deleghe ministeriali specifiche: per le politiche giovanili, per l'istruzione, per l'università e la ricerca, per la famiglia. Spero che più Ministri impegnati da diversi angoli visuali possano, insieme, produrre quei risultati di riforma che il Paese davvero attende da anni.

Innovare dovrà essere la parola d'ordine se vogliamo davvero far "rinascere" l'Italia. Un vero imperativo ed un eccezionale balzo se è vero, come sostenuto da uno studio pubblicato nel 2004, che solo il 13% degli italiani appartiene alla "classe creativa", una percentuale inferiore a quella degli Stati Uniti degli anni Cinquanta.

Nello scenario globale c'è bisogno che si affermi un maggior numero di italiani: nelle produzioni di qualità come nella scienza, nella creatività applicata alle tecnologie e ai beni economici, così come nelle arti e nello sport, nella capacità di studiare e di formare

Che fare, allora?

Tanti sono i soggetti chiamati a dare il proprio contributo. Io vorrei porre l'accento su un aspetto che, penso, è solo in apparenza un aspetto di metodo. Mi riferisco alla concertazione. In premessa osservo veramente, con piacere, che la concertazione è uscita dai cassetti nella quale era stata recentemente sepolta.

Attenzione, io penso ad un confronto vero tra i diversi soggetti, abbandonando paure e tatticismi conservatori o corporativi. Al Governo spetta il compito di sollecitare, con convinzione e intelligenza, il dialogo sociale e il confronto, per costruire soluzioni condivise e non estenuanti compromessi di modesto livello o per fermarsi di fronte a irremovibili ostacoli. Anche da sindacalista non ho mai considerato la concertazione come un limite alle responsabilità del Governo, al quale naturalmente spetta, sempre, la decisione finale, perché così avviene nelle democrazie sane.

La concertazione, però, è anche un paradigma di come si agisce dentro le moderne società complesse.

E' la fatica necessaria per agguantare dei traguardi e, insieme, la trasposizione di un'idea di relazioni dove prevale la condivisione e non l'imposizione, e dove non viene negata la legge del mercato, perché sarebbe la morte dell'economia di un Paese moderno che compete nello scenario globale. E per questo, a me pare, una pratica ed un modello da recuperare. Prima possibile!

La nostra giovane democrazia bipolare, nella quale mi riconosco fermamente, ha bisogno di un nuovo ruolo delle Forze sociali, di una nuova autonomia, di una nuova responsabilità. Dopo le lunghe stagioni dei collateralismi storici, abbiamo vissuto brevi fasi di pendolarismo, con rischi di appiattimento, da una parte e dell'altra.

Le Forze sociali, del lavoro e delle imprese, facciano il loro mestiere. La politica, in modo autonomo e consapevole, deve fare il proprio, con responsabilità.

Un compito maturo della politica, nella democrazia bipolare, è anche quello di assicurare una sufficiente stabilità e continuità dei risultati conseguiti. E' chiaro, ad esempio, per farmi capire meglio, senza giri di parole, che provvedimenti presi negli anni passati per la flessibilità del lavoro o per il riordino delle procedure nel campo ambientale possono essere migliorati e perfezionati alla luce dell'esperienza e non cancellati solo perché approvati da una maggioranza diversa!

Per concludere.

Non è solo per un omaggio ai Sessant'anni appena festeggiati della Repubblica e dell'avvio dell'Assemblea Costituente, che ho voluto porgerVi queste mie considerazioni, partendo dal Testo della Costituzione.

Non vorrei davvero che, passata l'atmosfera celebrativa, tutti richiudessimo la copertina o riponessimo nel cassetto la nostra Carta fondamentale, ciò che ci dice e gli impegni ai quali ci vincola.

Vorrei che tutti l'avessimo tra le cose più preziose e irrinunciabili, "autentica tavola dei principi e dei valori" - come l'ha definita il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio del 2 giugno - cui far riferimento nell'esercizio quotidiano delle nostre responsabilità pubbliche e, prima ancora, di cittadini.

Colgo l'occasione poi, per rinnovare anche dinanzi a voi il mio convincimento che, all'indomani della celebrazione del Referendum del 25 giugno, sia necessario che le Forze politiche in Parlamento si ritrovino nella ricerca di un'intesa quanto più ampia possibile, avente di mira l'ammodernamento delle nostre istituzioni e l'efficienza della nostra azione amministrativa.

Non entro nel merito tecnico delle ipotesi di riforma ma, nella mia funzione di Presidente del Senato, consentitemi di porre in evidenza come si debba completare ed equilibrare il nostro modello federalista - evitando di moltiplicare i costi pubblici e cercando di superare le tentazioni ad un neo-centralismo delle Regioni - e si debba poi rivedere anche la parte che riguarda il rapporto tra le Regioni e lo stesso Senato, con la effettiva declinazione di questo come vera "Camera federale".

Sono profondamente convinto che sia stato un errore, nelle legislature precedenti, procedere a riforme delle norme costituzionali a colpi di maggioranza: spero che appartenga ad un tempo passato.

Del resto, se guardo ad alcune recenti affermazioni ed espressioni di leader di entrambi gli schieramenti, mi pare di cogliere l'avvio di un clima diverso, meno pregiudizialmente conflittuale, disponibile, almeno, ad ascoltare le ragioni dell'avversario, mettendo in conto di provare a collaborare dopo il voto dei cittadini.

Naturalmente è prospettiva a cui guardo con grande favore, per la quale ho molto insistito sin dall'atto del mio insediamento alla Presidenza del Senato.

Chiudere con l'infinita campagna elettorale che attanaglia il nostro Paese, disinnescare la logica per cui colui che siede dall'altro lato dell'emiciclo è un "nemico" e non l'espressione di una idea diversa, interrompere quel clima di permanente incomunicabilità che impedisce di ritrovarsi su alcune grandi questioni, avendo di mira l'interesse generale del Paese.

Tutto ciò mi appare una condizione ineludibile, ed una premessa necessaria, se vogliamo far ripartire la "locomotiva Italia".

Consentitemi di chiudere dicendovi che la politica è chiamata a compiti alti - e questo non significa compiti idealisticamente astratti - ma alti almeno quanto lo sono le aspettative e le capacità, le stesse energie creative che, voi giovani imprenditori - ma credo, tutti i giovani italiani - avete.



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