Il Presidente: Discorsi

Congresso dell'Usigrai

Discorso pronunciato al decimo congresso dell'Usigrai (Unione sindacale giornalisti RAI) a Montesilvano (Pescara)

10 Ottobre 2006

Gentili signore, signori,
ho accolto volentieri l'invito del segretario nazionale Roberto Natale a rivolgere un saluto a tutti voi all'apertura di questo decimo congresso dell'Usigrai. Auguro un buon lavoro ai delegati e un forte incoraggiamento alla dirigenza che eleggerete al termine dei vostri lavori che immagino, avendo una qualche esperienza, non difetteranno in vivacità. Ma questa è la bellezza della democrazia.

Il mio, come dicevo, è solo un saluto e quindi non la farò lunga. In premessa, però, voglio rinnovare l'auspicio già espresso - in verità - nel luglio scorso incontrando in Senato la stampa parlamentare, per una conclusione positiva della vertenza contrattuale che riguarda la vostra categoria e che va avanti da seicento giorni.

Il diritto al rinnovo contrattuale è uno dei segni rilevanti di uno stato positivo dei rapporti sociali. Al tavolo, lasciate che a parlare sia il vecchio sindacalista, ci si siede sempre: voglio dirlo alla Fieg, e, so che è anche la vostra opinione. Il ministro del lavoro ha convocato le parti per domani: spero che si registri una svolta positiva.

Segretario, signore e signori,
l'informazione è questione "altamente sensibile" in rapporto alla democrazia. Una grande responsabilità perciò grava sulle vostre spalle, tanto più in quanto operatori della tv, della radio e degli altri media che, come si dice, "in tempo reale", narrano i fatti e gli eventi che accadono accanto a noi o lontano migliaia di chilometri. «Sentiamo parlare del mondo prima di vederlo» ammoniva già diversi decenni addietro Walter Lippmann.

Nelle nostre moderne società post-industriali la straordinaria diffusione dei mezzi di comunicazione ha mutato le società civili in opinioni pubbliche, gli attori in spettatori. La Tv, in particolare, è divenuta lo spazio dove si articola il nostro essere uomini pubblici, dove si articola il discorso pubblico: anche troppo, secondo me.

E' tema giustamente approfondito dai sociologi, dai ricercatori sociali e anche dagli studiosi di scienza politica. Compare anche nel dibattito politico, sebbene, a me pare, non con l'adeguato rilievo nel senso che se ne osserva la manifestazione ma non si riflette a sufficienza su come "organizzare" la politica tenendo conto sì della mutata situazione ma senza che essa sconvolga il corretto rapporto tra cittadini e istituzioni. E' tema comunque che evoca anche la vostra responsabilità. Non unica, naturalmente perché sappiamo che la massa di notizie, informazioni, opinioni, rappresentazioni e interpretazioni che irrompono nelle nostre case passano attraverso numerosi contenitori e diversi generi.

A voi compete, in qualche modo, la prima linea. E dovete dar fondo all'esigenza di verità e libertà intimamente connesse al vostro lavoro. Libertà tanto più esaltata dall'effettivo ed efficace rispetto del diritto delle persone alla propria privacy. Non c'è altro limite, non ci deve essere in democrazia perché il giornalista deve avere a cuore la sua indipendenza, il suo desiderio di scoprire, di sapere, di raccontare e di criticare. E' il binomio libertà-verità la stella polare.

Consentitemi di ripetere in conclusione l'esortazione del cardinale Etchegaray nel discorso al giubileo dei giornalisti: «Lottate contro la dittatura dell'urgenza, dell'istantaneità che non è garanzia della verità. Non esitate a infrangere, con le vostre domande e le vostre richieste la cerchia della miopia collettiva e di egoismo partigiano che ci circonda».

Segretario, care amiche ed amici,
una seconda, necessariamente breve, considerazione su questa grande azienda che è la Rai. Mi piacerebbe poter riflettere con voi su due parole che compaiono sempre quando parliamo di Rai perché ne connotano l'identità e la missione, ora alla prova di nuove sfide: servizio pubblico.

Se ci riflettete un attimo, pronunciandole, ci troviamo proiettati nel pieno dello spirito della nostra Costituzione, sono come i componenti dell'ossigeno della nostra democrazia: c'è dentro di esse l'idea dell'interesse generale, dello sguardo ampio che comprende tutto l'orizzonte sociale e non si ferma ai più forti, ai più ricchi, ai privilegiati e c'è dentro l'obiettivo di compartecipare al progresso civile del Paese e dei suoi cittadini.

Io credo che la Rai nella sua storia abbia assolto a questa missione. Non starò a pescare nella memoria alcune indimenticabili trasmissioni che hanno segnato di sé la storia collettiva dell'Italia né qualche nome di vostri colleghi alla cui professionalità e correttezza e amore per il proprio lavoro tutti dobbiamo. Non lo faccio perché convinto che farei torto a tante altre trasmissioni e produzioni Rai e così pure a giornalisti magari meno famosi e noti.

E' fuor di dubbio che permanga oggi un'esigenza di riassetto del sistema radiotelevisivo italiano, dopo anni di confronto aspro ed anche di produzione legislativa in tal senso. Non mi spingo, perché non mi compete, a indicare ricette. Sono fermamente convinto però che ogni disegno debba preservare e salvaguardare la possibilità per la Rai di mantenere la sua "missione" che non può essere garantita da una azienda che non sia forte e in grado di reggere la competizione e confrontarsi con le leggi del mercato.

Anche su questo terreno - e concludo - mi sento di rinnovare l'invito e la sollecitazione alle forze politiche di maggioranza e di opposizione a costruire soluzioni che non abbiano di mira l'interesse di uno o di pochi ma quello dell'intero Paese.

Buon lavoro a tutti.




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