Il Presidente: Discorsi

Cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma

Intervento di apertura della cerimonia celebrativa che si è svolta nell'Aula del Senato con la partecipazione dei Presidenti dei Parlamenti dei Paesi dell'Unione Europea.
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23 Marzo 2007

Presidenti, Colleghi, Autorità,
cinquant'anni fa in Campidoglio nasceva quella che fu chiamata la "piccola Europa". "Piccola" solo nei confini iniziali, ma già grande per i Paesi che si riconoscevano e, soprattutto, per la loro prospettiva aperta al sogno dell'integrazione del continente. Sei Nazioni ponevano con audacia e lungimiranza le basi di un'opera nuova: la più rilevante evoluzione politica e istituzionale nell'epoca contemporanea. Una trasformazione destinata a durare e a crescere perché fondata sul libero consenso dei popoli e degli Stati.

Gli straordinari risultati positivi di questa impresa sono di fronte a noi. Centinaia di migliaia di giovani si muovono tra le Università del continente. Le nostre merci circolano liberamente senza barriere e con regole di sicurezza condivise. La moneta unica sta trascinando la crescita finanziaria ed economica di tutti i nostri Paesi. I valori civili e culturali dell'Europa costituiscono un modello di equilibrio e di coesione straordinario nel mondo globalizzato.

Oggi siamo qui riuniti, rappresentanti di una "grande Europa", di un continente quasi del tutto unificato grazie ad una lunga stagione di pace, di prosperità e di progresso le cui basi più forti furono poste proprio a Roma nel 1957.

I rappresentanti dei Governi convenuti a Roma per la firma erano consapevoli di compiere un primo coraggioso passo per la realizzazione di un grandioso progetto, non limitato alla cooperazione economica. Più ampia era la loro prospettiva storica e politica. Come affermò il Ministro degli esteri italiano Martino «se il nostro orizzonte è necessariamente politico, il punto dal quale muoviamo è di natura essenzialmente morale. Noi abbiamo fede nell'Europa come patria spirituale».

II sogno europeistico, sbocciato dalle rovine della seconda guerra mondiale, accomunava la migliore classe dirigente europea, e trovò il suo slancio attraverso alcuni strumenti giuridici che pure apparivano complessi: due Trattati di oltre duecento articoli con un gran numero di annessi. Attraverso quella minuziosa definizione di regole (che solo in apparenza potevano sembrare macchinose) furono poste le basi di una integrazione irreversibile, di uno spazio di libertà e di sicurezza del quale oggi i nostri cittadini non potrebbero, e non saprebbero, fare a meno.

«I Trattati sono complessi», ammise allora il Cancelliere Adenauer, «come complessa è la vita moderna. Ma non possiamo perdere di vista il bosco per guardare gli alberi».

Ringrazio il Presidente Barroso e il Presidente Prodi che interverranno subito dopo. Ma ringrazio anche, particolarmente, il Presidente Giscard d'Estaing, e con lui i senatori Andreotti, Ciampi e Colombo, testimoni autorevoli di quei giorni e di momenti significativi del processo di integrazione. Voglio ringraziare anche il cancelliere Kohl e il Presidente Delors che, avendo accettato il nostro invito, non sono poi potuti intervenire per ragioni di salute.

I Parlamenti furono subito protagonisti, approvando rapidamente, senza egoismi nazionali, quei Trattati che un impatto così rilevante avrebbero avuto sugli ordinamenti nazionali. Da allora molta strada è stata fatta. Il Parlamento europeo, come era negli auspici dei Fondatori, ha trovato il suo ruolo di co-legislatore e di organo essenziale per il controllo della vita dell'Unione. I singoli Parlamenti partecipano sempre più attivamente alla formazione del diritto comunitario controllando l'azione dei propri Governi.

Sono convinto che, oggi, proprio dai Parlamenti nazionali che rappresentano democraticamente i cittadini e le forze politiche dei singoli Paesi, può e deve venire quel contributo permanente in più, quella responsabilità continua e certa, che deve saper proporre e anche criticare, ma che deve sempre sostenere la vitalità, la costruzione e l'iniziativa di questa fondamentale casa comune.

Con questa mia ferma considerazione ringrazio tutti voi per aver accettato il nostro invito a venire qui a Roma non solo per celebrare il cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati, ma anche per dare un contributo ideale e politico ad un momento che non vuole essere solo rituale.

Domenica prossima, i Capi di Stato e di Governo si riuniranno a Berlino in un Consiglio europeo straordinario per adottare una dichiarazione solenne. Sarà quella l'occasione per rilanciare il nostro impegno di fronte alle sfide che ci attendono e su risposte che non possono essere più rimandate.

Alcune regole costituzionali sono oggi indispensabili per la crescita del ruolo politico interno ed esterno della nostra Unione. Lo stesso rilancio delle capacità di intervento e di mediazione dell'ONU può trarre un grande beneficio dalla nostra più incisiva unità di intenti su tante questioni che riguardano lo sviluppo democratico e sociale di molte aree e regioni del mondo.

Jean Monnet affermò che l'Europa si costruisce attraverso le sue crisi e l'evento che qui oggi vogliamo celebrare ci ricorda - nelle parole di Altiero Spinelli - come «l'Europa non cada dal cielo», ma è frutto della volontà politica, di scelte consapevoli e coraggiose. Di tali scelte e di classi politiche capaci di assumerle abbiamo bisogno se vogliamo costruire un futuro aperto e vitale per i nostri giovani, per i nostri cittadini, un futuro almeno pari alla forza che abbiamo insieme realizzato nel nostro grande passato.

Discorso di conclusione della cerimonia

Vi ringrazio tutti sinceramente. E' stato il nostro un confronto vivo, un dibattito ricco dove, con la diversità di accenti propria delle nostre tradizioni, è emersa con forza la consapevolezza di un progetto comune, che chiede una volta di più coraggio e ambizione. Vorrei dire, senza alcuna retorica, che lo spirito di Roma, la coesione forte di cinquanta anni fa' sono aleggiati in questo nostro incontro.

Entro la metà di questo secolo, ciascun Paese europeo, preso singolarmente, potrebbe non sedersi più al tavolo delle cinque maggiori economie mondiali. Non dobbiamo temere questi processi economici e sociali in atto. Dobbiamo piuttosto, come europei, costruire il modo moderno di concorrere alla nostra crescita democratica e civile e a quella del mondo.

Il progetto europeo dunque, la nostra Unione, non è solo una alternativa al rischio di decadenza politica ed economica del vecchio continente, dopo secoli di gloria. Oggi più che mai dunque, con coraggio, dobbiamo proseguire sulla strada dell'integrazione garantendo che l'Unione possa parlare con un'unica voce sulla scena politica internazionale.

Come già disse il Cancelliere Adenauer cinquant'anni fa a Roma, l'Europa «con la sua Unione non serve soltanto se stessa e gli Stati che la compongono, ma il mondo intero». L'Unione europea, in effetti, oggi costituisce un modello di grande comunità organizzata.

Attraverso simili organizzazioni deve e dovrà passare, sempre più, il pacifico governo del nostro pianeta, dei suoi problemi, delle sfide dei nostri tempi che hanno una dimensione che sempre più supera i confini delle nazioni e degli stessi continenti.

A conclusione della sua vita politica un grande italiano e padre fondatore dell'Europa Alcide De Gasperi, ebbe a dire che «l'Europa esiste, ma è ancora incatenata» e non senza provocazione ammonì affermando che «per unire l'Europa vi è da edificare.... da gettar via un mondo di pregiudizi, un mondo di paure».

Parole forti, certamente, che noi rappresentanti politici dei Parlamenti dell'Unione abbiamo il dovere di considerare come un monito politico che viene dai nostri popoli, anche da quelle componenti - presenti in ogni Paese - che mostrano margini di scetticismo e di preoccupazione. Siamo noi che dobbiamo impegnarci a spiegare e a convincere i cittadini. E poi a incoraggiare e incalzare senza respiro i nostri Governi perché l'Europa si sappia liberare dai vincoli e dalle paure che la frenano.

Questo messaggio chiaro dobbiamo inviare al vertice che si svolgerà domenica prossima a Berlino. A nome di tutti voi mi farò interprete di questo nostro messaggio e chiedo al Presidente Barroso, al Presidente Poettering, al Presidente Lammert e al Presidente Prodi - che saranno a Berlino - di collaborare con noi per trasmettere queste nostre convinzioni.

Che il processo di integrazione riprenda dunque con il coraggio e l'ambizione che ebbero i Padri fondatori cinquant'anni fa per continuare a dare ai nostri popoli un ruolo di protagonisti della crescita democratica e sociale non di semplici spettatori sulla scena mondiale.



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