Il Presidente: Discorsi

Il Primo Maggio del lavoro italiano nel mondo

Discorso pronunciato a Londra, in occasione della Festa della Federazione Acli internazionali.

6 Maggio 2007

Cari amiche, cari amici,
siamo a Londra per celebrare la prima Festa della Fai ma ci sentiamo a casa. Non solo perché siamo in una delle capitali della nostra grande realtà che è l'Unione europea, ma anche perché in ogni Paese possiamo rintracciare il contributo dato dai lavoratori italiani alla sua costruzione. Un contributo, sappiamo bene, che nel tempo ha travalicato i confini del nostro continente. Un contributo di braccia, di intelligenza, di fatica e di creazione. E di valori. Quelli che le Acli da sempre trasferiscono nei contesti più diversi e più lontani. Un saluto particolare va dunque anche alle delegazioni dell'Argentina, Brasile, Cile, Uruguay e Venezuela.

Festa del Fai, Festa del lavoro. Diceva pochi giorni fa l'amico Olivero in vista delle celebrazioni del Primo Maggio: "Non c'è molta voglia di festeggiare quando ogni giorno in media tre persone perdono la vita sul posto di lavoro. Questo fenomeno folle e tragico delle cosiddette morti bianche rappresenta una sconfitta per tutti''. E chiedeva che il tema della sicurezza sul lavoro diventi concretamente una priorità nell'agenda politica italiana.

La mattanza deve finire. E tutti gli sforzi devono essere finalizzati al raggiungimento di un obiettivo che misura la nostra capacità di risposta. Si perché ogni volta che muore un lavoratore viene inferto un duro colpo ai modelli sociali e civili che gli Stati del nostro continente nel tempo sono stati in grado di esprimere.

Sono trascorsi più di cinquanta anni dalla tragedia di Marcinelle. Una ferita italiana, ma anche una ferita consumatasi nel cuore dell'Europa. E le morti sul lavoro sono ancora, purtroppo, una drammatica realtà che travalica i confini degli Stati nazionali. Ma altre definizioni ci ritroviamo a dover associare alla parola lavoro: sommerso, nero, precario, minorile. E altre ancora ne dobbiamo affiancare quando affrontiamo questo tema centrale nella vita di ciascuno di noi. Tutte quelle parole che definiscono le dinamiche fondamentali della possibilità di costruire e dare futuro: accesso, inclusione, formazione, protezione sociale, solidarietà.

C'è un legame strettissimo tra ogni aspetto che riguarda il lavoro. Ecco perché dobbiamo ripensarlo complessivamente restituendo ad esso la sua dignità superiore. Ogni Paese presenta differenti realtà. Ma è innegabile che i modelli di sviluppo e di welfare e, quindi, della società che viviamo e che verrà sono da tempo al centro del dibattito politico in moltissime realtà soprattutto sovranazionali. E non può essere diversamente dal momento che viviamo una frattura storica tra ciò che quelli come me hanno conosciuto e ciò che, invece, attende i nostri figli e i nostri nipoti, destinati ad essere protagonisti di questo nuovo tempo. Un tempo, è vero, complesso e difficile. Ma anche un tempo di grandi opportunità per chi accetta la sfida senza smarrire il senso di una identità che pone al centro la dignità della persona.

E una delle sfide maggiori con la quale siamo costretti a confrontarci è quella di conciliare il dinamismo dell'economia e la giustizia sociale. Si perché la rapidità dei progressi tecnologici e l'intensificazione della concorrenza collegata alla globalizzazione hanno imposto e continuano ad imporre grandi cambiamenti generando però nuove disuguaglianze e grandi esclusioni.

Ripensare il lavoro vuol dire identificare le sfide che non hanno ancora trovato una risposta soddisfacente e che sono il riflesso evidente di una distanza tra gli strumenti contrattuali e di protezione sociale e la realtà del mondo del lavoro in rapida evoluzione. Ripensare il lavoro vuol dire anche mettere in atto processi inevitabilmente sottesi ad una idea forte di sviluppo sostenibile tale perché pone al centro l'uomo e l'ambiente. La dignità delle persone e il rispetto per la natura. Ma soprattutto la solidarietà.

L'uomo che provvede all'altro uomo è la radice della moderna giustizia sociale. La storia delle Acli che si intreccia con la storia stessa del movimento dei lavoratori cattolici, si intride della dottrina cristiano-sociale. E' da questa fonte che noi dobbiamo attingere le ragioni rinnovate della nostra azione, nella politica, nelle istituzioni, nel sociale. Perché alle radici di questo pensiero incontriamo l'uomo che è misura di ogni buona politica.

E se c'è un filo rosso che lega il movimento dei lavoratori cristiani a tutte le Encicliche sociali, come le grandi Encicliche di Giovanni Paolo II, così pregne di consapevolezza del tempo contemporaneo, in particolare la Laborem exercens del 1981 e la fondamentale Centesimus Annus del 1989, che si pone come un grande spartiacque tra un millennio e l'altro, certamente, i fondamenti vanno rintracciati nella Rerum Novarum, la cui straordinaria attualità, a distanza di centosedici anni dalla sua emanazione da parte di Papa Leone XIII, è ancora nitida.

Quel documento, che si apre al nuovo tempo della rivoluzione industriale senza complessi né timori, scegliendo di schierare la Chiesa dalla parte dei più deboli, prendendo atto "dell'essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà", che registra una presa di coscienza che altre concezioni avrebbero definito "di classe", ma che per la dottrina cattolica diventa "vivo sentimento delle proprie forze", quel documento rappresenta la svolta nell'esperienza del movimento operaio di matrice cattolica, e viene a ragione considerato una delle più alte testimonianze del pensiero a cavallo tra i secoli.

L'esperienza delle Acli porta, dunque, i segni della dottrina sociale della Chiesa fin dalle sue origini, ma l'elabora e l'ammoderna attraversando anche gli altri grandi pronunciamenti papali, in particolare La Mater et Magistra e la Pacem in Terris di Giovanni XXIII, un grande papa sociale, particolarmente vicino alla sensibilità del mondo dei lavoratori.

Se dovessimo guardare all'esperienza attuale del movimento aclista, così fecondamene disseminato nel mondo, forse dovremmo ripercorrere un altro documento dottrinario di un altro grande papa italiano: la Populorum Progressio di Paolo VI. A ben vedere in questi mesi ricorrono i quarant'anni di una enciclica epocale, che dichiara, per la prima volta - in una stagione ancora tutta ripiegata sull'idea di uno sviluppo materiale senza limiti, che però tocca solo una parte piccolissima del mondo - che la questione sociale aveva assunto dimensioni globali. E' un documento carico di "politicità", perché riconosce la necessità di uno sforzo collettivo poiché "le buone azioni individuali non bastano più". Occorre un'azione concreta e solidale, una collaborazione internazionale, una vocazione planetaria.

In questa scia, io credo, le Acli hanno inteso collocare la loro esperienza fuori dall'Italia, conferendo sostanza ad un'azione che ha continuato a privilegiare due momenti fondamentali per la vita dei lavoratori e delle loro famiglie: l'assistenza e la formazione.

L'azione delle Acli si svolge oggi in questo contesto epocale in cui sono stati ribaltati radicalmente i canoni che interpretavano l'intero percorso di vita di ogni uomo e di ogni donna. Una volta la scuola e l'università formavano l'individuo prima dell'ingresso nel mondo del lavoro e il sistema pensionistico garantiva un accettabile livello di sicurezza a chi ne usciva. Questo insieme di garanzie sociali costruiva un welfare che riusciva in qualche modo a rendere meno violente le sconnessioni e gli squilibri all'interno del sistema-lavoro.

Oggi che la flessibilità si va imponendo finendo troppo spesso per divenire precarietà, oggi che l'uscita dal ciclo produttivo per ragioni di età non trova più la certezza della protezione sociale offerta dai meccanismi del vecchio welfare, oggi che i disequilibri del mondo del lavoro vengono pagati a caro prezzo da lavoratori precari e più indifesi, lavoratori che hanno nomi orientali o africani o balcanici, o lavoratori italiani, uomini e donne che hanno cercato una via fuori dalla madre patria, oggi l'azione delle Acli torna ad assumere una valenza straordinaria, adeguata alla difficoltà del tempo nuovo. E' una valenza che si esprime nel settore della formazione, che una volta era relegata all'età pre-lavorativa ma che oggi tende a sovrapporsi alla fase del lavoro e del non-lavoro: long life learning, la necessaria formazione continua per cogliere le nuove opportunità.

Ma anche la tradizionale azione di assistenza che le Acli hanno svolto oggi si arricchisce di nuovo valore, che trova un'area di bisogno se possibile ancora più larga che nel passato. Ecco allora che, nel solco sempre attuale della dottrina sociale della Chiesa, tutti i soggetti sociali e i protagonisti della politica che ad essa fanno riferimento sono chiamati a svolgere un ruolo che è, al tempo stesso, di azione sociale concreta e di proposta forte, a latitudini larghe, globali, perché è l'uomo sempre il centro del suo impegno.

Il primato della persona, dunque, come dichiarò Giovanni XXIII nella Pacem in terris: "In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento che ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e umanità libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri sono perciò universali, inviolabili e inalienabili".



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