Il Presidente: Discorsi

Forum internazionale dell'agricoltura e dell'alimentazione organizzato dalla Coldiretti

Discorso pronunciato a Villa d'Este a Cernobbio in occasione del VII forum internazionale dell'agricoltura e dell'alimentazione organizzato dalla Coldiretti

20 Ottobre 2007

Autorità,
Signore e Signori,
sono lieto di essere qui con Voi per i lavori di questo Forum internazionale su temi che troppo spesso sono stati posti in secondo piano nella politica del Paese.
Ho accettato con piacere l'invito - pure nei limiti che l'impegno del Senato mi consente - perché ritengo che la Vostra Organizzazione stia compiendo, da alcuni anni, un percorso di rinnovamento culturale significativo, all'altezza delle sfide che i tempi pongono.

Parlare oggi di agricoltura e di alimentazione, in un Paese come l'Italia, vuol dire parlare di uno degli aspetti cruciali del nostro sviluppo economico e sociale.
I temi che avete posto alla base del Vostro incontro già delineano un percorso di riflessione che mi sembra adeguato.
Tuttavia vorrei fare, brevemente, tre sottolineature per portare un mio contributo.

La mia prima considerazione riguarda i numeri, il peso dell'agricoltura italiana.
Una lettura superficiale dei dati potrebbe, infatti, portare a concludere che l'attività agricola non pesa molto sulla bilancia dell'economia italiana, anche perché è molto frammentata, sviluppa sempre meno occupazione, esprime un prodotto interno lordo non molto elevato.
In realtà chi ragionasse in questo modo dimostrerebbe di non cogliere a fondo le peculiarità di questo settore e le modalità attraverso le quali questo interferisce con tante altre attività, solo in apparenza separate.
La nostra agricoltura è oggi un sistema di produzioni tipiche, sempre più specializzate e caratteristiche.

Un sistema che valorizza e propone ai consumatori italiani e stranieri centinaia di prodotti particolari, frutto delle nostre diverse tradizioni territoriali, ma anche risultato di attente iniziative di ricerca che hanno migliorato taluni nostri prodotti ponendoli in una condizione di eccellenza.
Ora, se da un lato è evidente che dobbiamo fare un maggiore sforzo come Paese per sostenere tutto ciò - per assicurare la massima redditività alle aziende e a tutti coloro che vi lavorano - si devono d'altra parte considerare gli enormi intrecci della nostra agricoltura con altri comparti della nostra economia.

Penso a come le nostre lavorazioni agricole caratterizzano la bellezza dei nostri territori e dei nostri molteplici paesaggi.
Ma voglio anche considerare i riflessi che tutto ciò ha sul nostro turismo, sia quello interno che quello dall'estero, e sulla capacità attrattiva di iniziative e di investimenti.
In Italia, infatti, abbiamo dei beni culturali che non sono solo resti archeologici o monumenti storici, ma sono le nostre campagne, le nostre colline, le nostre tante brevi pianure coltivate in tanti modi.
Dobbiamo guardare a queste cose senza retorica - ovvero con una lucida e razionale consapevolezza - perché mantenere e migliorare questo nostro immenso patrimonio vuol anche dire valorizzare una delle nostre più potenti risorse naturali, una nostra materia prima davvero speciale.

Per brevità mi fermo qui, su questo primo punto, ma credo sia evidente la necessità di una più stringente e moderna riflessione economica sull'insieme di questi aspetti.
La mia seconda riflessione riguarda gli aspetti sociali del mondo agricolo.
Con la riforma agraria del dopoguerra si è creato nel nostro Paese un tessuto fondamentale di decine di migliaia di imprese agricole a base familiare, delle quali la vostra Confederazione è la principale espressione.
La rete di questi operatori costituisce il vero sistema di iniziativa e di responsabilità, per creare sviluppo e occupazione, per fare le cose alle quali accennavo prima e anche per svilupparle.

Questi sono i veri soggetti protagonisti, senza i quali ogni politica agricola rischia di non avere le gambe.
Attori protagonisti sui quali gravano, ogni giorno, anche le responsabilità principali della qualità delle produzioni, della tutela della salute e della sicurezza dei consumatori.
Ecco perché vedo, quindi, un grande rilievo sociale in questa situazione.
Un aspetto di socialità generale, di responsabilità, che il mondo agricolo ha gradualmente assunto in una economia moderna come la nostra.

E vengo alla mia terza e ultima considerazione.
Se le mie riflessioni, pur necessariamente veloci, sugli aspetti economici e sociali hanno un qualche fondamento - e credo che lo abbiano, anche vedendo i temi che voi state dibattendo - allora credo che sia necessario dare più spazio politico al settore agricolo, tornare a farne uno degli assi portanti delle politiche del Paese.
Questo vuol dire che il mondo agricolo deve essere costantemente chiamato ad una consultazione, alla concertazione con le Istituzioni regionali e con il Governo, come un settore fondamentale, la cui responsabilità è divenuta ben più ampia di quella che si potrebbe tradizionalmente individuare.

Quest'ultima considerazione mi porta direttamente al tema della politica, alla condizione del nostro Paese.
Credo che oggi siano vive molte attese da parte dei cittadini.
Basti guardare i fenomeni di partecipazione di massa al referendum promosso dai Sindacati, alla recente manifestazione romana di Alleanza Nazionale, alla mobilitazione per le primarie del Partito democratico.
Chi dice, come molti commentatori sui mezzi d'informazione, che il Paese è stanco, che è lontano dalla politica, forse non guarda lucidamente a ciò che avviene.

Certo la politica, come tutta la vita pubblica delle Istituzioni, deve acquisire più sobrietà.
Bisogna diminuire molte spese e tagliare alcuni privilegi che si sono determinati nel tempo.
Però credo che si debba respingere ogni attacco generalizzato alla vita politica, ogni attacco che tende, nei fatti, a indebolire le funzioni e le responsabilità della politica.
So bene che questo non avviene solo con una petizione di principio.

C'è anche una precisa responsabilità di chi esibisce solo una politica "urlata", di chi grida rifiutando il sentiero più impegnativo, ma obbligato - se si vuole rispondere alle aspettative - del confronto, del dialogo.
Un Paese come il nostro, impegnato in una sfida competitiva globale, ha bisogno di aggiustare le sue Istituzioni, di allinearle ad una condizione più moderna ed efficiente.

Non occorre molto tempo per fare queste cose.
E' solo necessario che la politica - tutta nel suo insieme, pur nell'asprezza del confronto - condivida poche cruciali questioni, facendo così un passo di maturazione democratica che potrebbe davvero darci quella stabilità di fondo e quella tenuta di sistema che sono tipici di tutte le più avanzate democrazie bipolari, e che sono la condizione essenziale per una nuova stagione di coesione sociale e di crescita.



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