Il Presidente: Discorsi

Cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno al Quirinale

Discorso pronunciato al Quirinale in occasione dello scambio di auguri di fine anno

20 Dicembre 2007

Signor Presidente della Repubblica,
con vivo piacere, nell'occasione delle feste del Santo Natale e di fine anno, Le porgo gli auguri più calorosi anche a nome del Presidente della Camera, del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Presidente della Corte Costituzionale, delle Autorità civili e militari della Repubblica e di tutti i presenti.

Le finalità di questo incontro augurale, al quale Lei ha voluto come di consueto invitarci, mi offrono una gradita e significativa occasione nella quale - facendo mio il comune sentimento di tutti presenti, ma ritengo dell'intero Paese - posso rivolgerLe, anzitutto, un forte e sentito ringraziamento per il Suo alto e instancabile impegno di rappresentante dell'unità della Nazione, pure in frangenti complessi e impegnativi come quelli che il Paese attraversa.

L'anno che si conclude è stato segnato da importanti fatti e fenomeni che hanno interessato la vita pubblica e quella delle Istituzioni.
In una Legislatura resa più ardua dall'esito del voto democratico dei cittadini, perché ci ha consegnato una rappresentanza politica e un Paese sostanzialmente diviso in due parti pressoché uguali, anche la vita dell'Esecutivo e delle altre Istituzioni repubblicane è stata chiamata a prove impegnative di tenuta e di iniziativa.

Ma sarebbe davvero miope - e talvolta la nostra vita pubblica sembra esserlo - fermarci a guardare solo al nostro interno, come se vivessimo in un mondo chiuso, con barriere e divisioni insuperabili come pure nel recente passato abbiamo conosciuto.
L'anno che termina è stato, infatti, segnato da vicende di straordinario rilievo sul piano europeo e internazionale, e dobbiamo sempre di più anche ricordare tutto questo per considerare le crescenti responsabilità che abbiamo nel consorzio dei Paesi più industrializzati.

Dopo una stagione di vivo impegno - così come hanno fatto altri Paesi - abbiamo lasciato le terre dell'Iraq, non senza il rimpianto delle comunità locali, alle quali abbiamo prestato con coraggio e professionalità il nostro sostegno per un accompagnamento alla crescita civile e democratica.
Abbiamo proseguito le nostre missioni di sicurezza e di pace in Libano, nei Balcani, in Afghanistan e in altre regioni difficili della Terra.

Il mio richiamo a questi fatti non è solo per il giusto orgoglio che tutto il Paese deve avere per il servizio fondamentale alla concreta causa della giustizia nel mondo e per la pace fra le Nazioni, che siamo chiamati a prestare, nell'ambito delle iniziative multilaterali delle Nazioni Unite, della Nato e dell'Europa.
Ma è per i compiti progressivi che andiamo assumendo, e che dobbiamo confermare e accrescere, se vogliamo essere all'altezza della nostra storia, della nostra cultura, degli ideali e dei valori che i nostri giovani e tutto il Paese profondamente sentono.

La firma del nuovo Trattato europeo, che tra l'altro istituisce la figura dell'Alto rappresentante per le politiche della sicurezza e della difesa, è un altro importante passo avanti nella direzione di una Europa che sempre di più deve accettare le sue responsabilità e deve essere presente - con il suo straordinario modello di civiltà e di libertà - a sostegno della crescita di importanti aree ai nostri confini o comunque strategiche per il pacifico sviluppo della convivenza mondiale.
La recentissima approvazione da parte dell'Assemblea delle Nazioni Unite della moratoria per la pena di morte nei Paesi che ancora la praticano costituisce ancora un altro importante successo della nostra opera di presenza e di paziente tessitura di relazioni internazionali virtuose perché rispettose dei nostri fondamentali principi sui quali abbiamo costruito le fondamenta della Repubblica.

La nostra vita sociale interna è stata anch'essa attraversata da fenomeni internazionali di portata generale.
Mi riferisco alle ondate migratorie e alle conseguenti, legittime, preoccupazioni per la sicurezza e l'ordinata convivenza e integrazione con culture e tradizioni diverse.
Ma anche ai fenomeni gravi del clima che abbiamo vissuto nei mesi passati, le cui variazioni originano notevolmente da attività umane.

Per questi ed altri grandi problemi non vi è possibilità seria di risposta senza una più incisiva azione comune europea e internazionale, alla quale siamo direttamente chiamati.
La nostra economia continua nella sua crescita, trainata, con una determinazione e una grinta che non vedevamo da qualche tempo, da un numero significativo di imprese che hanno puntato sull'innovazione dei prodotti e dei processi produttivi, sulla delocalizzazione e sulla presenza diretta nei mercati esteri che si sono aperti.

Recenti analisi hanno messo in luce come il nostro sviluppo sia soprattutto il risultato di un impegno di minoranze più attive, di gruppi sociali motivati all'innovazione di successo nel campo economico.
Spesso la storia ha vissuto periodi animati da elite e da minoranze, per cui non credo si debba manifestare preoccupazione per questo.
Piuttosto, voglio rilevare che sarebbe necessario un maggiore sforzo politico delle Istituzioni per favorire una più vasta partecipazione di tutte le fasce sociali alla crescita, anche rimuovendo con più decisione incrostazioni corporative e burocratiche che ci rallentano e ci frenano.

Il valore della coesione sociale - come Lei ha più volte richiamato - rappresenta un bene superiore che, se raggiunto, può produrre molti altri risultati positivi per la nostra espansione e per favorire condizioni per una maggiore giustizia sociale e solidarietà collettiva.
La nostra vita civile è stata segnata da attacchi, anche severi, dell'opinione pubblica e della stampa nazionale che se ne è fatta interprete, sui costi e sull'efficienza delle Istituzioni repubblicane.

Credo che queste istanze debbano essere guardate con attenzione, depurate da troppo facili moralismi, ma anche considerate come un indicatore davvero importante per orientare il nostro lavoro.
Non si può, infatti, sostenere che vi sia vera disaffezione per la vita pubblica e politica da parte dei cittadini.
Milioni di persone sono corse volontariamente ad esprimere la propria partecipazione, la voglia di contribuire ad un sistema più equilibrato ed efficiente in numerose occasioni e manifestazioni promosse da Forze politiche e da movimenti sindacali e associativi.

Le Istituzioni della Repubblica, tutti i Corpi dello Stato - nella dimensione politica e in quella delle amministrazioni - devono cogliere e intercettare queste domande.
Nel momento in cui ci apprestiamo a celebrare i 60 anni dall'entrata in vigore della Costituzione, messa da parte una lunga pagina ideologica - che ci ha dato una crescita economica e sociale straordinaria, ma anche il più elevato debito pubblico d'Europa - possiamo pensare di lavorare, tutti insieme, per maturare un nuovo costume e un nuovo carattere della vita pubblica nazionale, improntati ad una sobrietà profonda, e però sempre ancorati alle nostre ricche tradizioni culturali e storiche.

La forza del nostro Paese è proprio nella sua creatività, nella sua vivacità sociale e culturale, nella sua umanità accogliente, nel suo saper vivere bene con moderazione: tutti questi caratteri dobbiamo mantenere con equilibrio e misura nella nostra vita pubblica per rafforzarne la dignità e il prestigio fra gli italiani e nel mondo.
Più volte, Signor Presidente, Lei ci ha richiamato ad uno sforzo maggiore fra le Forze politiche, per aprire una stagione di collaborazione alta per modificare alcune regole essenziali della nostra democrazia.

Ricordo le parole con le quali Lei ci ha spronato dicendo che «il sistema politico e le Istituzioni rappresentative, a cominciare dal Parlamento, possono riguadagnare credibilità e prestigio tra i cittadini solo affrontando i cambiamenti necessari».
Nelle ultime settimane un primo inizio di confronto si è registrato su un tema fondamentale come quello della legge elettorale che deve assicurare, insieme, una rappresentanza più partecipata e una più efficiente condizione di governabilità.
Voglio credere che questo confronto avviato, potrà proseguire nei prossimi mesi e svilupparsi anche per determinare la modifica di alcuni punti della Costituzione e dei Regolamenti parlamentari.

Prima di concludere, Signor Presidente, non posso non richiamare la grave questione dei morti sul lavoro. Una vera piaga sociale sulla quale anche Lei, più volte, ha manifestato la Sua forte preoccupazione.
Il Parlamento, con largo consenso, ha migliorato la legislazione.
Credo che ora sia veramente necessario fare uno sforzo in più, per migliorare la formazione dei lavoratori e degli stessi datori di lavoro, per una maggiore qualità dell'occupazione, per ridurre l'esagerata precarietà del lavoro giovanile o degli immigrati - che non va confusa con la necessaria flessibilità - per affermare una nuova cultura positiva del lavoro sulla quale si fonda la nostra stessa democrazia repubblicana.
Con la ferma consapevolezza di questi impegni voglio ancora porgere un vivo e sincero augurio a Lei, Signor Presidente della Repubblica, e a tutti i presenti.



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