Il Presidente: Articoli

«Lo scontro non paga, i poli collaborino»

Intervista al quotidiano "Il Messaggero"

30 Maggio 2006

di Carlo Fusi

Franco Marini, presidente del Senato, non demorde: non sarebbe da lui. Propugna il dialogo tra i due poli come esigenza del Paese, «e voglio farlo al di là dei risultati di queste amministrative perché ho ben chiaro il diverso significato per il Paese delle elezioni politiche generali rispetto a quelle per guidare i governi locali. Come dice? Che le mie proposte non stanno facendo passi avanti? Ma io ci sono abituato. Quando sono convinto di una cosa posso anche aspettare mesi prima che si realizzino». Sia chiaro: il dialogo non è un vezzo buonista. Va attuato nell'interesse dell'Italia. Marini è uomo concreto, e dunque fa una proposta precisa: l'Unione non demolisca le riforme Cdl, il centro-destra rinunci al muro contro muro.

Presidente però è vero che siamo sempre lì: l'offerta al centro-destra di alcune presidenze di Commissione al Senato, che Berlusconi giudica un'elemosina e dunque rifiuta...
«Io non posso inventare qualcosa che non c'è. Voglio dire: non c'è dubbio che questo discorso di convergenza deve sssere sperimentato nel circuito parlamentare. Vogliamo creare le condizioni perché il Senato funzioni oppure, visto che le possibilità di ostruzionismo sono più forti che alla Camera, ci rassegniamo alla paralisi? Per me la via è obbligata, e riguarda una linea di intesa e di rispetto reciproco sulle presidenze delle Commissioni. Questo c'è sul tappeto e questo è possibile fare. Io veramente farei qualcosa del genere anche alla Camera. Il muro contro muro, l'assenza totale di dialogo è un errore, produce un blocco nella vita di un Paese che è in stagnazione da alcuni anni, e perciò ha bisogno di scelte urgenti con l'occhio all'interesse generale. E chi cavalca lo scontro, come abbiamo visto in queste ore, non viene premiato. Gli italiani sono stanchi di questo infinito braccio di ferro, questa guerra civile che per ora è di parole. Però la storia ci insegna che l'accumulo di parole, di minacce, di sfide alla fine rischia di sfociare in fatti».

Sembra una maledizione: ogni volta che finisce una legislatura, cambia la maggioranza e si ricomincia daccapo. L'ha detto anche Montezemolo all'assemblea di Confindustria...
«Ed ha ragione. Diciamolo chiaro: il quadro generale del Paese non è roseo. Siamo usciti dalle elezioni politiche con una maggioranza e una minoranza certificate ma comunque con un Paese diviso in due. Domando: è mai possibile che questo stato di cose e i singoli egoismi ci ottenebrino fino al punto da non lasciarci più scorgere qual è l'interesse generale? Vede giusto chi sostiene che in Italia c'è un vero e proprio allentamento dei vincoli di coesione sociale. Viviamo in una società "liquida". Non riusciamo a mettere assieme, attorno ad obiettivi comuni, le volontà di chi vuole fare le cose. Siamo costretti a pensare in grande. I rapporti internazionali stanno cambiando, la società italiana non può permettersi di fermarsi dinanzi alle difficoltà. Dobbiamo fare passi avanti nell'ammodernamento, nell'efficacia e nella efficienza delle sue strutture amministrative a tutti i livelli. Dobbiamo fare questo se vogliamo attrarre di nuovo investimenti esteri e ridare una spinta alle imprese. Anche il sindacato mi pare si muova chiaramente su questa linea».

Dal dialogo politico alla concertazione nel Paese. Lei proprio non molla...
«Proprio perché c'è necessità di recuperare coesione sociale, condivido l'idea di coinvolgere tutte le forze nello sforzo volto a cogliere le occasioni di sviluppo che si vanno affacciando. La parola d'ordine della concertazione è giusta perché afferma il concetto che si governa coinvolgendo le forze della società. Non ho mai pensato, anche quando guidavo la Cisl, che la concertazione significasse paralisi o strapotere delle parti sociali sul governo. La concertazione è coinvolgimento, ricerca di posizioni condivise. Lasciando all'autorità pubblica la decisione finale».

Ma lei stesso riconosce che nel centro-sinistra ci sono partiti che si oppongono al confronto con l'opposizione...
«Lo so è un problema, ma nessuno ha mai detto che la nostra alleanza è una falange. Ci sono articolazioni, come dall'altra parte. Però mi pare che la linea che esprime Prodi sia quella che sto richiamando. Ci sono posizioni di partenza diverse nell'Unione, ma c'è anche un grande senso di responsabilità. Si tratta di governare le difficoltà. La maggioranza si muove in sostanza su questa linea e io credo che l'opposizione farebbe bene a cogliere questa opportunità».

La Casa delle Libertà dice che le offerte dell'Unione sono strumentali, vuole l'accordo solo perché al Senato i numeri sono esigui. E ancora: per cinque anni il centro-sinistra ha sparso odio rifiutando il dialogo, ora che pretende?
«Sulla seconda cosa dico: ma come fa una coalizione che aveva una maggioranza di più di 100 deputati alla Camera e 60 al Senato a parlare di campagna di odio per non farli governare? Avevano tutti gli strumenti per farlo. L'opposizione di allora che doveva dire: vi diamo quattro voti in più quando vi servono? Suvvia, ma quale odio: l'opposizione, chiusa in uno spazio ristretto, ha cercato semplicemente di fare il suo mestiere. Quanto alla strumentalità... non direi proprio. Certo non mi nascondo le difficoltà di gestire il Senato, ma io mi sento attrezzato per affrontare una situazione simile, la mia esperienza e storia personale mi fanno essere ottimista. Ma è sul punto politico che voglio ragionare. La maggioranza c'è sia alla Camera che al Senato, seppur in questo ramo più esigua. La sfida per governare, anche così, si può accettare, e qualcuno del mio schieramento lo afferma con forza guardando con scarsa simpatia ai miei appelli alla convergenza. Ma il problema è un altro: per affrontare e sciogliere i tanti nodi che avvinghiano la società italiana c'è bisogno di una coesione forte, almeno attorno a qualche punto di interesse generale, e questo naturalmente non può e non deve voler dire aggirare le regole della democrazia bipolare».

Il Cavaliere afferma: l'Unione si è accaparrata tutte le cariche istituzionali, dunque non è credibile...
«Insomma: sulla presidenza delle Camere abbiamo fatto quello che fecero loro quando vinsero le elezioni. Nel bipolarismo è una condizione di normalità. Quanto a Napolitano, beh mi pare proprio una forzatura parlare di una maggioranza che ha imposto il suo candidato. E' stato eletto un uomo che esprime il meglio della cultura delle socialdemocrazie europee. E' una figura che può rappresentare bene l'unità del Paese e in molti anche nel Polo l'hanno riconosciuto».

E il fatto che l'ex premier minacci il ricorso alla piazza, lo fa diventare Masaniello o sempre più Caimano?
«Mi vanto di aver criticato Berlusconi senza mai offenderlo. Dico che questa sua posizione così gladiatoria appare inspiegabile. Se immagina di mettere in discussione il risultato elettorale del 9 aprile penso si muova a vuoto».

Prodi ha stilato una prima agenda di cose da fare. L'Unione dice di non voler smantellare le riforme del Polo, però in quell'elenco ci sono giustizia e scuola...
«Ma non la legge Biagi. Nessuna cancellazione perché sarebbe sbagliato. Qualche ritocco sì, c'è da riflettere perché è indubitabile che l'area della precarietà nel lavoro si è patologicamente allargata. Ma cancellare il buono della legge Biagi sarebbe una scelta inaccettabile. Giustizia e scuola, dice lei. Bene, sulla prima si parla in maniera specifica dell'inappellabilità in caso di proscioglimento: è una materia sulla quale è giusto ragionare. Quanto alla Moratti, si tratta di discutere i tempi di applicazione della seconda parte della riforma. Insomma non mi sembra che sul piano dei contenuti vinca la logica del rifiuto totale di quanto fatto prima. Piuttosto mi lasci dire che dal punto di vista politico giudico positivo, da parte di Prodi, aver fissato delle priorità. E' stata la risposta giusta all'emergere di voci difformi in seno al governo, alle tante dichiarazioni di questi giorni. Agendo così, il capo del governo ha sottolineato in modo fermo la presa di coscienza del ruolo di coordinamento che deve avere la presidenza del Consiglio».

Tra un mese si vota per il referendum sulla devolution. Sarà quella la rivincita della casa delle Libertà?
«Basta con la storia delle rivincite. E' un appuntamento carico di significato politico, non lo nego. Il referendum obbliga a schierarsi, non c'è dubbio però che le nostre istituzioni abbiano bisogno in alcuni punti di rinnovarsi. Dico questo: le riforme fatte unilateralmente non sono state esaltanti. Solo chi ha una concezione primordiale della politica può pensare di continuare a battere quella strada. Perciò comunque vada, sia che vincano i no sia che vincano i sì, mettere insieme le forze politiche per un passaggio di sintesi mi pare scelta obbligata».

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