Il Presidente: Discorsi

Anniversario del terremoto del Friuli: discorso di Gemona

6 Maggio 2009

Cinquanta secondi di terrore con epicentro a Gemona; 1000 morti, 100.000 senza tetto, una superficie di circa 5000 chilometri quadrati danneggiata, 119 comuni in ginocchio e fra questi 41 dichiarati gravemente disastrati e 45 gravemente danneggiati: tutto questo accadde il sei maggio 1976.
In meno di un minuto, quello che tanta gente aveva costruito con immenso amore, il patrimonio artistico di cui il popolo friulano andava fiero, le fabbriche che erano la forza lavorativa dei friulani, vennero spazzati via e sembrò che tutto fosse finito.
E subito dopo, per interminabili mesi, uno sciame sismico continuo ed incessante, che sembrava non dare tregua, culminato in una nuova violenta scossa a distanza di alcuni mesi che spazzò via quanto ancora rimaneva in piedi.

Dolore, disperazione, angoscia, paura in quegli attimi interminabili e nei momenti che seguirono immediatamente dopo quella terribile notte del 6 maggio, presero il sopravvento, ma con grande saggezza furono respinti da questo popolo fiero, di grande capacità, di immensa volontà che da subito decise che bisognava andare avanti, bisognava risollevarsi dalle macerie materiali e morali, bisognava tornare a vivere.
La terra ferita è una ferita dell'anima.
I terremoti accadono purtroppo nel nostro paese, portano distruzione e morte, ci rendono fragili e impotenti, perché possiamo decidere di cose di cui abbiamo il controllo, ma i terremoti non dipendono da noi, li subiamo.
Così come avvertiamo una violenza dentro di noi che è quella della perdita di quei riferimenti che guidano le nostre esistenze: le nostre cose materiali, la casa, gli oggetti, il nostro lavoro.

E' in queste evenienze che il popolo italiano fiero e tenace è capace di dare il meglio di sé.
Così accadde a Gemona e negli altri Comuni colpiti.
I friulani continuarono a combattere per la loro terra e per loro stessi. "Facciamo da soli" dissero con orgoglio. Si opposero alle demolizioni indiscriminate.
Pensarono a ricostruire le case, e ancor prima le fabbriche, consapevoli dell'importanza del lavoro e dell'industrializzazione per tornare alla normalità.
Le case da ricostruire divennero un simbolo, i paesi da riedificare cosi com'erano diventarono una sorta di identità collettiva, il lavoro inteso come impegno, capace di produrre un'opera in grado di resistere al tempo e anche ai terremoti, divenne una missione: un vero e proprio esempio a cui ispirarsi.

Oggi non ricordiamo soltanto un anniversario, ma evidenziamo come decisioni rapide e sagge, pubbliche assunzioni di responsabilità siano l'unica autentica risposta alle catastrofi naturali.
I paesi del Friuli sono stati capaci di dare il meglio di sé: il Duomo di Venzone, splendido edificio del 1300, raso al suolo, è oggi diventato il simbolo della ricostruzione: riedificato con infinita pazienza, con le stesse pietre che lo componevano, prima raccolte tra i cumuli di macerie, poi catalogate, infine ricollocate con criteri antisismici.

Il parallelo corre all'Abruzzo, regione purtroppo profondamente offesa e ferita dal recente terremoto.
La straordinaria forza, il grande coraggio degli abruzzesi, la loro voglia di rifare quello che è andato perduto e di farlo subito, sono gli stessi sentimenti che animarono i friulani.
E ritornano gli stessi valori di allora: l'unità di intenti, la coesione, l'abbattimento di conflittualità politiche, pur nella necessario mantenimento delle differenze.
E poi l'identità di una regione e dei suoi abitanti con la propria casa, il lavoro prima di tutto, le Istituzioni come riferimento.

Ancora la solidarietà dello Stato, della gente comune, delle altre Nazioni; i volontari che trasmettono agli abruzzesi, e lo fecero anche in Friuli, con la loro opera incessante, i sentimenti di amicizia e di vicinanza che sono di tutti gli italiani.
Dinanzi a tanta compostezza nel dolore, i friulani hanno riconosciuto che lo Stato c'è; come lo riconoscono gli abruzzesi.
Dinanzi alla volontà di questa gente di tornare alla normalità, abbiamo assistito alla coesione di tutte le forze politiche, perché in tragedie come queste, le divisioni artificiose fondate sul risentimento, non devono e non possono esistere.
Di fronte a eventi della terra così devastanti, l'unica difesa dell'uomo è quella di costruire bene nel pieno rispetto delle leggi.

Non più costruzioni a risparmio con materiali non idonei per zone ad altissimo rischio sismico.
In Friuli si è lavorato bene.
Altrettanto dovrà avvenire in Abruzzo e tutte le Istituzioni dovranno sorvegliare.
E' assolutamente necessario prevenire ed evitare qualsiasi tipo di infiltrazione criminale e mafiosa nella ricostruzione.
Questo è un dovere categorico e irrinunciabile dello Stato.
In Friuli ci fu l'orgoglio di una ricostruzione che è esempio nella nostra storia.
Così sarà anche nelle terre colpite dal sisma un mese fa.
Oggi questa ricorrenza non è solo celebrazione, commemorazione e memoria; rappresenta di più.
E' occasione per trasmettere agli abruzzesi quei valori che sono stati vincenti per i friulani, per rinnovare la fiducia nello Stato e nelle sue azioni.

Oggi celebriamo il "modello Friuli", vanto di tutto il Paese, che è stato anticipatore del federalismo, grazie alla capacità ed all'intuito dell'allora classe politica, solidale, coesa efficiente attiva, protesa verso la ricostruzione.
Consentitemi di ringraziare quanti indistintamente hanno voluto la rinascita di questa terra.
Oggi, dinanzi agli abitanti di Gemona e di tutti i Comuni che sono risorti, dinanzi ai Sindaci qui presenti, voglio manifestare tutta la mia ammirazione per quello che voi friulani siete, per quello che rappresentate, per quanto siete riusciti a fare.



Informazioni aggiuntive

FINE PAGINA

vai a inizio pagina