Il Presidente: Discorsi

XIV Congresso ordinario Unione Camere penali Italiane "Il progetto dei penalisti per la giustizia"

Intervento del Presidente del Senato, Renato Schifani presso il Centro Congressi Stazione Marittima a Trieste

28 Settembre 2012

Cari colleghi e amici,
ero presente a Palermo al vostro congresso del mese di ottobre 2010, e sono particolarmente lieto di essere oggi qui a Trieste a discutere con voi dei più importanti temi sulla giustizia.
Ho seguito con attenzione le numerose istanze che provengono dall'Unione Camere Penali Italiana.
L'ultima delibera del 20 luglio 2012, che riassume i problemi e le richieste maggiormente avvertiti, e che ha determinato lo sciopero degli avvocati penalisti dei giorni scorsi, è la sintesi di riflessioni e di doglianze di fronte alle quali la politica non può e non deve rimanere inerte.
Ne va della credibilità dell'intera classe politica, dei futuri assetti parlamentari che fra qualche mese saranno delineati con il voto degli elettori.
Ancora una volta la parola che pronuncio è riforme. Occorre realizzare le riforme che sono necessarie e non più rinviabili; che abbiamo ancora il tempo di farle per dare respiro alla nostra economia.
L'anno che volge al termine è stato difficile per il nostro Paese: le manovre economiche onerose, non facili per gli italiani che con grande spirito di sacrificio le hanno sapute accettare, hanno riguardato tutti i ceti sociali e influenzato il mercato e la crescita economica.
Se però, come ci auguriamo, nel 2013 la fase della recessione che stiamo vivendo si attenuerà, e l'Italia comincerà a superare questa lunga e sofferta depressione, oggi più che mai è urgente ed indifferibile una seria e severa legge anticorruzione, fondamentale per l'affermazione di un'etica della politica e per tornare ad essere competitivi all'interno dei nostri confini, in Europa e nel mondo.
Una normativa che deve essere approvata in tempi rapidissimi.
La Banca Mondiale ha stimato che una efficace lotta alla corruzione potrebbe portare ad una crescita dal due al quattro per cento.
La Corte dei Conti ha quantificato in sessanta miliardi il prezzo della corruzione, quasi quattro punti di prodotto interno lordo.
Se poi inquadriamo questo ammontare nel totale complessivo della corruzione europea, che è pari a centoventi miliardi, se consideriamo che con il contrasto giudiziario sono stati recuperati appena novanta milioni di euro, il dato assume dimensioni di rilevante entità.
Abbiamo il dovere di intervenire ci sono diverse motivazioni che sono poi strettamente collegate ai dati di cui ho parlato: le imprese straniere non trovano conveniente investire in Italia perché la corruzione incide come una tassa pari al venti per cento degli investimenti.
Una tassa occulta che oscura anche l'immagine della nostra Italia e che porta le aziende a ritenere che è meglio investire altrove; che crea sfiducia nelle Istituzioni e che non aiuta, anzi mortifica le aspettative di lavoro delle nuove generazioni.
La legge contro la corruzione, attualmente all'esame della Commissione Giustizia del Senato (proprio ieri è scaduto il termine per la presentazione degli emendamenti) è certamente perfettibile, suscettibile di modifiche, ma non deve essere alterato il contenuto sostanziale.
Il messaggio che accompagna queste modifiche normative è quello della trasparenza nella pubblica amministrazione, della inflessibilità verso i corrotti, siano essi amministratori che politici, con un unico obiettivo, condiviso oltre ogni schieramento, che è quello di ridare credibilità al nostro Paese.
Significa restituire alla collettività la ricchezza sottratta, evitando l'introduzione di nuove tasse e, perché no, ponendo le basi per una graduale riduzione di quelle attuali.
Vuole dire togliere ogni ostacolo alla possibilità delle imprese straniere di investire in Italia. In sintesi, tornare alla vera, sana e necessaria competitività.
Se il Parlamento saprà esitare una legge che contenga tutti i requisiti, la classe politica saprà dimostrare di essere pienamente in grado di trasformare le parole in fatti.
Sarà un passo importante per recuperare quella fiducia e quel rapporto autentico con gli elettori che oggi appare fortemente ridimensionato e che rischia di creare un distacco talmente ampio da potere divenire incolmabile.
La politica deve sentire questa legge come strumento che può tornare a darle credibilità.
Troppi scandali hanno creato sdegno e determinato la disaffezione dei nostri italiani.
Rischiamo di creare in loro il convincimento che tutta la politica sia corrotta.
E questo noi non lo vogliamo.
Vogliamo tornare, noi politici, ad essere un vero ed autentico punto di riferimento per le esigenze e i bisogni del Paese.
Dobbiamo, allora, sapere fare autocritica e avere il coraggio di allontanare chi ha tradito la fiducia dei cittadini.
Nessuno sconto, nessuna indulgenza, nessuna protezione per i corrotti.
Se politica vuole dire cura della polis, chi è chiamato ad amministrare deve farlo - è un imperativo categorico - guardando esclusivamente all'interesse dei cittadini e bandendo ogni forma di egoismo e di cura dei propri interessi economici.
Fare politica per gli altri, non per cercare di arricchirsi spesso illegalmente.
L'unica via da percorrere diviene allora quella del bene e dell'interesse comuni.
Ci sono tanti politici onesti e capaci ai quali affidare le sorti dell'Italia.
E all'ondata di sdegno suscitata dalla vicende anche recenti giudiziarie, a tutti note, deve seguire una seria e concreta riflessione che porti a soluzioni coraggiose e forti.
Soluzioni che certamente gli Italiani condivideranno; questo vale per tutti, perché nessuno dei grandi schieramenti politici è stato immune da fatti di corruzione o malaffare.
Ma l'affanno del nostro Paese, come giustamente rilevate anche voi penalisti, trae origine anche da una serie di altri fattori che fanno da zavorra al decollo e alla riconquista economica dell'Italia.
Avvertiamo tutti che i processi sono troppo lenti: la corruzione e la lentezza della giustizia, sia penale che civile, sono causa di effetti deterrenti per le imprese.
Il Consiglio Europeo ha valutato che l'abnorme lentezza della giustizia italiana costa l'1% del Pil.
Eppure basterebbe per cominciare, l'introduzione della digitalizzazione degli atti che riduce fino ad azzerare i tempi e crea i presupposti per l' accelerazione dei giudizi.
La riforma della giustizia passa attraverso un effettivo ruolo di terzietà del giudice, ma anche attraverso la fine della spettacolarizzazione dei processi.
Non si chiede di non dare notizie; si chiede che vengano filtrate per non coinvolgere mediaticamente soggetti anche estranei ai processi che troppo spesso finiscono sui giornali per notizie che non hanno alcuna attinenza con le inchieste ma che vogliono soddisfare solo la curiosità morbosa di qualche lettore.
E' il tema ancora non risolto delle intercettazioni, sul quale occorre mettere un punto fermo e definitivo. Se questo mezzo di indagine è indispensabile per l'accertamento dei fatti, è altrettanto vero che siamo il Paese dove vengono disposte il maggiore numero di intercettazioni.
Non discuto dei reati di mafia e dei reati satellite per accertare fatti di criminalità organizzata; non discuto dei reati più gravi contro la Pubblica Amministrazione, ma è venuto il tempo di evitare l'uso generalizzato per fatti di minore importanza che invadono - spesso senza esito per le indagini - la sfera privata dei cittadini.
Serve una attenta riflessione; il Senato aveva esitato già da diversi mesi una legge sul tema; ad oggi la riforma è all'esame della Camera.
Un altro tema fondamentale che mi sta a cuore in questo contesto è quello della violazione del segreto istruttorio che è sistematica e generalmente riguarda personaggi noti all'opinione pubblica.
E che avviene spesso ancora prima che gli uffici della Procura abbiano formulato le richieste di rinvio a giudizio al GIP.
Sono fatti inammissibili che, tra l'altro, non vengono mai puniti, sebbene il nostro codice penale preveda espressamente il reato di violazione del segreto d'ufficio.
Si rischia anche di inquinare le indagini con danno irreparabile per l'accertamento della verità.
Su questo problema mi sono soffermato più volte e auspico una soluzione definitiva che ci renderebbe certamente più civili agli occhi degli altri Stati dove la violazione del segreto d'ufficio viene punita severamente e per questo accade di rado.
Sulla responsabilità civile dei magistrati, occorre fare chiarezza.
Ho incontrato più volte i vertici dell'Associazione Nazionale Magistrati, sia gli uscenti, sia gli attuali, che hanno dimostrato grande volontà di collaborazione, senso di responsabilità e disponibilità al confronto.
I magistrati sono consapevoli che il problema esiste, un fatto, questo, che non può che essere oggetto di grande apprezzamento.
Proprio dinanzi a questa disponibilità è importante uno sforzo di tutti per individuare metodologie di sanzioni quanto più condivise.
A titolo personale ho sempre ribadito, e continuo a farlo, la mia disponibilità affinché la normativa che dovrà essere approvata eviti scontri e conflitti; ma soprattutto contribuisca a mantenere la serenità di giudizio dei magistrati, indispensabile per potere amministrare un ruolo così difficile ed essenziale.
La legge in vigore del 1988 ha portato a scarsissimi risultati (appena quattro le condanne in più di venti anni) e quindi va modificata.
Ma con il giusto equilibrio che è quello di evitare la citazione diretta dei magistrati, come accade oggi in molti Stati d'Europa.
Alla citazione dello Stato Italia dovrà, però, seguire l'obbligo di rivalsa nei confronti del magistrato e l'obbligo del procedimento disciplinare,che oggi è già previsto dalla legge in vigore.
Così come è necessario ridefinire il concetto di "violazione di legge" eccessivamente generico, creando e codificando un'apposita casistica.
Occorre poi individuare al più presto gli strumenti anche legislativi più idonei per arginare il sovraffollamento delle carceri nel nostro Paese.
Anche questa è una vostra legittima richiesta ed è un tema al quale sono molto legato, soprattutto dopo avere personalmente visitato diverse strutture carcerarie italiane con caratteri di criticità, sia per la vetustà dei luoghi, sia per la periodica presenza di un numero di detenuti superiore alla effettiva capienza.
Occorre dare una risposta concreta al più presto. Le difficoltà delle carceri sono le difficoltà della stessa giustizia.
La pena non è solo prevenzione, risarcimento, repressione; è e deve essere sinonimo di "giustizia".
E' il punto finale e definitivo del processo, ma è anche l'inizio del recupero della dignità, l'avvio per un percorso di legalità, la possibilità di reinserimento dei detenuti nella società e principalmente nel mondo del lavoro.
Negli istituti penitenziari gli spazi delle celle sono ridotti, le condizioni di vita a volte insostenibili.
Il recente decreto svuota carceri, che pure qualcosa di positivo ha portato, non è ancora sufficiente.
Vanno previste altre forme di limitazione della libertà in strutture diverse dai penitenziari.
Servono soluzioni strutturali; penso ad esempio ad accordi bilaterali tra Stati che prevedano la consegna dei detenuti stranieri già condannati in via definitiva, affinché scontino le pene nei rispettivi Paesi di origine.
I detenuti, come prevede la nostra Costituzione, devono avere assicurate condizioni di vita umane.
Dobbiamo però, nello stesso tempo, sapere garantire sicurezza e serenità di vita a chi vive nella nostra Italia.
La politica deve farsi carico della salvaguardia di queste esigenze egualmente meritevoli di rispetto e della necessità di non mortificare mai le une rispetto alle altre.
Lo deve fare al più presto per essere all'altezza delle aspettative di un Paese libero e democratico.
Cari colleghi, ci sono ancora tanti problemi da affrontare per raggiungere il traguardo di una "giustizia giusta".
Vorrei chiudere questo mio incontro con voi con un auspicio, che non è solo mio, ma di tutti gli italiani.
Oggi per la classe forense uno dei nodi più urgenti da sciogliere è la disoccupazione dei giovani avvocati.
Ognuno di noi ha il dovere di fare qualcosa.
Troppi legali percepiscono un reddito al di sotto della soglia minima.
Mentre l'invecchiamento della categoria degli avvocati impone di intervenire in termini innovativi.
Bisogna sapere essere al passo con i tempi; in questa direzione il Senato ha approvato la riforma forense che è all'esame della Camera.
Certamente non tutti condividiamo alcuni aspetti della legge, ma è una buona partenza che certamente concorrerà a risolvere alcune delle questioni più dibattute.
Ma soprattutto contribuirà ad una migliore redistribuzione delle risorse da destinare alla vostra professione. Condividendo quindi quanto da voi auspicato, mi auguro che l'altro ramo del Parlamento esiti al più presto l'iter.
Vorrei chiudere con un richiamo al grande valore dell'attività forense.
L'avvocato svolge un ruolo insostituibile nel nostro sistema democratico dove i concetti di giustizia e di legalità mai come oggi sono un autentico baluardo.
Un ruolo strategico che contribuisce all'accertamento della verità, alla difesa della libertà e all'affermazione dello stato di diritto.
Grazie per quello che fate e rappresentate; grazie per avermi ascoltato e buon lavoro a tutti voi.


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