Il Presidente: Discorsi

"Politica e Istituzioni attraverso 150 anni di storia d'Italia: La questione cattolica"

Intervento del Presidente del Senato Renato Schifani in Sala Zuccari

12 Aprile 2011

Signor Presidente della Corte, Eccellenze, Autorità, Signore e Signori.

Rivolgo un saluto e un ringraziamento davvero particolari al Presidente Marcello Pera che ha accettato di presiedere l'odierno seminario e agli illustri relatori oggi impegnati nella quarta iniziativa organizzata dal Senato per il 150° Anniversario dell'Unità d'Italia.
La questione cattolica ha rappresentato per il nostro Paese un passaggio fondamentale per la comprensione e il riconoscimento della propria identità nazionale.
Il periodo successivo alla concessione dello Statuto Albertino poteva sembrare ancora caratterizzato da una "Costituzione senza Stato" ed in effetti solo gradualmente l'unità territoriale ha rafforzato anche le strutture di governo affermando la "sovranità statale", nonostante l'ancora incompiuta realizzazione della più profonda "sovranità nazionale".
L'idea di Nazione, infatti, appariva scissa tra la molteplicità di ascendenze culturali, storiche, istituzionali e la sua configurazione di "soggetto distinto dai cittadini che la compongono".
Il momento di saldatura delle tre dimensioni - diritto, Stato, Nazione - veniva a maturare nell'Assemblea Costituente, quando la stessa idea di sovranità si legava alla connotazione "popolare" della Repubblica.
La "sovranità popolare", il valore della democrazia, la comune appartenenza ad una storia, ad un progetto, a una tavola di valori condivisi diedero forma concreta ed effettiva alla visione e alla prospettiva di Unità che ancora oggi sorregge il destino del nostro Paese.
La questione cattolica è al centro del percorso di emersione dell'identità unitaria d'Italia ed il processo di riscoperta del suo significato attuale passa attraverso il superamento di molti luoghi comuni e immagini stereotipate.
Giovanni XXIII considerò il centenario dell'Unità d'Italia un "motivo di esultanza" e l'anno successivo l'allora Cardinale Giovanni Battista Montini ricorse ad espressioni che ancora oggi tutti ricordiamo: "La Provvidenza, quasi giocando drammaticamente negli avvenimenti, tolse al papato le cure del potere temporale perché meglio potesse adempiere la sua missione spirituale nel mondo". Per Benedetto XVI, infine, "è fondamentale insistere sulla distinzione tra l'ambito politico e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi".
Nemici della identità unitaria del Paese sono stati, sul piano ideologico, l'idea di laicità intesa come "separatismo"; sul piano storico, il paradigma della "rottura" contro quello della "continuità".
Il separatismo utilizza contro il fatto religioso gli strumenti dell'emarginazione, dell'ostilità, dell'indifferenza.
Analogamente, la logica della rottura sostituisce il valore della distinzione e collaborazione con l'antagonismo dei ruoli.
Le derive in passato non mancarono dall'una e dall'altra parte. Quello però che non mancò nei cattolici fu il "senso dello Stato", anche quando il carattere ideologico di alcune politiche portò, con le parole di Giuseppe Ferrari, alla difficoltà di considerare il "senso di quello Stato" come tratto identitario inclusivo.
Salito al soglio pontificio, Paolo VI, proprio nel centenario di Porta Pia, collegò la libertà e l'indipendenza della Chiesa alla sovranità e alla libera espressione della vita civile italiana.
L'allora Presidente Giuseppe Saragat, ringraziandolo del suo messaggio, riconobbe nel principio della libertà religiosa un "impegno, che è storico e morale prima che giuridico", riconoscendo nell'autorità e nell'indipendenza della Sede Apostolica il "grande e arduo compito di dare unità alla patria".
Resta ancora oggi di profondo significato politico ed istituzionale il pensiero che Palmiro Togliatti espresse per motivare il proprio voto sull'inserimento in Costituzione del richiamo ai Patti Lateranensi: "La nostra lotta è la lotta per la rinascita del nostro Paese, per il suo rinnovamento politico, economico e sociale. [...] vogliamo si realizzi l'unità politica e morale di tutta la Nazione. Disperdiamo le ombre le quali impediscono la realizzazione di questa unità! [...] Siamo convinti [...] di compiere il nostro dovere [...] verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria".
Tra laici e credenti non sussiste un "conflitto di doveri": serve però uscire dalla trappola sia delle ideologie sia della ideologia della banalità.
Non si tratta né di fossilizzarsi in identità chiuse e bloccate, né di disconoscere un'eredità culturale, una tradizione, una memoria.
Gli spazi di libertà sono "aperti" a patto di non diventare spazi "vuoti" di pensiero.
Il senso dello Stato, l'appartenenza ideale al proprio Paese sono possibili solo se sorretti dalla comune prospettiva di un'Europa che voglia e sia capace di parlare con una voce unica.
Collaborazione ed autentica solidarietà sono la sfida per un'Europa che finora è sembrata più divisa che unita, sia sulle crisi internazionali sia sull'immigrazione.
A volte le alchimie giuridiche ingenerano frustrazione e incomprensione reciproca. È invece possibile e doveroso conciliare legalità e giustizia.
L'Italia ha assunto decisioni di equilibrio che richiedono il pieno e solidale coinvolgimento di tutti gli Stati europei.
Non si può essere solidali solo a parole e alla prova dei fatti rinchiudersi dentro il proprio territorio e il proprio egoismo.
Non possiamo guardare all'Unione Europea come un luogo di percorsi incompiuti.
Anche l'Italia e noi stessi siamo Europa, ma il mancato ascolto ed il rifiuto da parte di alcuni Stati protagonisti è una strada che, a lungo termine, può rivelarsi miope e di corto respiro.
Chiudere le porte all'Italia significa impedire ogni forma di collaborazione e tradire la missione autentica di un'Unione Europea capace di farsi reale promotrice dei diritti e delle libertà.
E' indispensabile per il bene comune, che qualcuno riveda le scelte più recenti.
E' necessario trovare soluzioni condivise perché le emergenze epocali non si possono affrontare con il diniego e l'indifferenza.
L'Europa non può parlare di umanità e abbandonare al suo destino il prossimo che bussa alla porta. E il nostro Paese non può essere lasciato solo.
La ricerca del bene comune resta il fondamento di un agire pubblico in grado di reggere le sfide e superare le incertezze, per una società che considera il suo progresso indissolubilmente intrecciato al suo essere, innanzitutto, comunità.



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