Il Presidente: Discorsi

Commemorazione di Marco Biagi

19 Marzo 2009

Onorevoli colleghi,
il 19 marzo di sette anni fa, a pochi passi dalla sua casa di Bologna, sotto i colpi di una violenza politica che molti credevano ormai consegnata alle pagine più dolorose della storia del nostro Paese, cadeva barbaramente assassinato il professor Marco Biagi.
Nella sua follia criminale, guidata da un cieco delirio ideologico, il terrorismo brigatista attribuiva a questo mite studioso, pioniere della comparazione giuridica in materia di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, una insanabile colpa.

Quella di aver collaborato, tra il 1995 e il 2002, alle attività di tre Governi, di differente orientamento politico, mettendo a disposizione del Paese le sue eccezionali competenze e contribuendo a realizzare quelle riforme del mercato del lavoro che la sua attività scientifica, instancabilmente divulgata anche al di fuori del mondo accademico, mostrava ormai come una esigenza indifferibile del nostro sistema produttivo.
Questo tenace spirito di innovazione aveva trovato espressione nel Libro bianco sul mercato del lavoro, significativamente intitolato Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità, pubblicato, nell'ottobre del 2001, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

L'idea portante del Libro bianco era costituita appunto dall'idea, formulata in particolare da Marco Biagi, di procedere verso l'obiettivo della società attiva: un modello sociale e produttivo, cioè, radicalmente innovativo rispetto a quello sperimentato dal nostro Paese negli ultimi decenni.
L'obiettivo, assai ambizioso, era quello di costruire un sistema in cui le ragioni della crescita economica e le esigenze della produzione potessero finalmente convivere con la qualità della vita personale e familiare dei lavoratori e, di conseguenza, con la crescita demografica ed il pieno sviluppo della persona umana.

L'urgenza che si manifestava era quella di dare un'attuazione piena, adeguata all'evoluzione dei rapporti economici e sociali, alla disposizione dell'articolo 35, primo comma, della Costituzione, secondo la quale "la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni".
Per far questo, occorreva però superare un meccanismo di tutela ingessato sulla difesa dei rapporti di lavoro esistenti, che lasciava senza alcuna protezione le tantissime posizioni di lavoro atipiche o precarie che proprio in quegli anni si erano diffuse fino a diventare una parte importante della realtà produttiva del nostro Paese.

Di fronte alle critiche e alle accuse di chi vedeva nel progetto soltanto l'obiettivo di limitare i diritti e le tutele esistenti, il professor Biagi ribadiva (come fece anche poche settimane prima della sua morte, nel corso di un incontro con la Conferenza episcopale italiana) la necessità di considerare la sua proposta in tutti i suoi aspetti.
Ad un aumento della flessibilità dei rapporti di lavoro si affiancava inscindibilmente, infatti, un significativo rafforzamento degli ammortizzatori sociali, degli incentivi per l'occupazione, degli interventi dei servizi pubblici e privati per l'impiego e soprattutto - ripeteva il Professore - tutta la riforma si poneva in continuità con gli interventi avviati nella precedente Legislatura dal Governo di centro sinistra.

Un percorso riformatore, quindi, libero da qualsiasi matrice ideologica o di interesse, tratteggiato nelle sue priorità da quello che costituiva, in coerenza con la sua formazione di comparatista, il parametro fisso dell'analisi di Marco Biagi, cioè il suo guardare costantemente all'Europa, consapevole della necessità imprescindibile, per il sistema italiano, di restare al passo degli altri partners europei.
Al di là dei contenuti e delle proposte, la vita e l'azione di Marco Biagi possono offrire ancora al mondo della politica e delle Istituzioni due preziosi contributi: in primo luogo la sua fiducia nel dialogo come strumento privilegiato per la modernizzazione del Paese, che non può realizzarsi compiutamente se non attraverso il convincimento e la consapevolezza di tutti i principali attori del cambiamento.

Il considerare che la voce di quest'uomo del dialogo sia stata spenta dall'antitesi del dialogo stesso, cioè dall'intolleranza ideologica che si fa violenza e terrore, non fa che aggiungere a questa qualità una vena di testimonianza profetica. È compito di tutti noi, oggi, raccogliere questa testimonianza.
Traspare poi, in tutti i sui contributi, una solida fiducia nel ruolo insostituibile delle istituzioni democratiche, come luogo di sintesi dell'interesse generale, che si alimenta dal confronto con gli interessi particolari rappresentati dalle parti sociali, ma non è mai asservito ad essi.

Anche se ha conseguito una prima, organica realizzazione con la legge 14 febbraio 2003, n. 30, recante delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro, significativamente ribattezzata da tutti i commentatori con il nome di "legge Biagi", quel prezioso bagaglio di idee e di proposte attende ancora una più compiuta attuazione.
Penso, in particolare, alla rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono ancora, nel nostro Paese, un diffuso ricorso al lavoro a tempo parziale, che nell'analisi del professore bolognese costituirebbe una delle più efficaci soluzioni per migliorare i tassi di occupazione femminile e giovanile - ancora tra i più bassi d'Europa - e per compiere un altro significativo passo in avanti verso l'obiettivo della società attiva, dando attuazione, nello stesso tempo, all'articolo 37 della Costituzione, che impone che le condizioni di lavoro consentano "alla donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione familiare".

Il coraggioso riformismo del professor Biagi, sostenuto dalla mirabile lucidità della sua analisi, avrebbe senza dubbio costituito oggi una preziosa risorsa per la politica e per le Istituzioni, nel difficile contesto economico e sociale del nostro tempo, marcato dai crescenti effetti sull'economia reale di una crisi finanziaria di proporzioni globali.
Oggi di lui ci resta il ricordo: che è per noi dovere di continuare ad attingere al suo prezioso patrimonio di idee con spirito di dialogo, per non rendere vano il sacrificio di un uomo che al progresso dei lavoratori e della società civile ha dedicato la propria vita.



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