Il Presidente: Articoli

«Tavolo comune in Parlamento su giustizia federalismo costituzionale, crisi e infrastrutture»

Intervista pubblicata dal quotidiano "Il Messaggero"

7 Gennaio 2009

di Carlo Fusi

A Palermo, alla festa dell'Epifania organizzata da Vincenzo Conticello, titolare di una focacceria che ha denunciato il racket del pizzo ed ha testimoniato contro i suoi estorsori, Renato Schifani si è preso applausi a scena aperta quando ha ricordato che la politica deve prioritariamente occuparsi dei poveri, delle fasce più deboli della popolazione. Rientrato a Roma, il presidente del Senato confermando il senso delle parole dette in Sicilia, si fa promotore di un appello preciso. Questo: non ci sono più alibi, non ci sono più ragioni che fanno da barriera, il 2009 è cominciato ed è arrivato per tutte le forze politiche il momento dell'assunzione di responsabilità riguardo la necessità di fare le riforme.
Schifani non usa mezzi termini e chiede di abbandonare i veti reciproci, le contrapposizioni, gli anatemi. Può partire da subito un tavolo di confronto centrato su quattro temi specifici: federalismo con modifiche anche costituzionali; giustizia; crisi economica e infrastrutture. «Resto più che mai convinto - dice - che se quella in corso non sarà una legislatura costituente, la politica pagherà un grande prezzo di credibilità nei confronti degli elettori che con la semplificazione politica attuata nelle ultime elezioni hanno inviato un segnale preciso».

Presidente, il suo invito è chiaro, però le contrapposizioni restano e sono forti.
«Guardi, io ritengo che all'indomani dell'appello autorevole, e condiviso credo dall'intera comunità nazionale avanzato dal presidente Napolitano, è dovere della politica essere consequenziale, e attuare quell'appello. Dunque iniziare ad operare sotto il profilo politico e - preciso - soprattutto politico-parlamentare».

Appunto. Come è possibile che in Parlamento si superino gli ostacoli che i due schieramenti continuamente pongono per il dialogo?
«Io parto dalle affermazioni del presidente del Consiglio, che seppur aveva affermato di non volersi sedere al tavolo per le riforme con chi lo aveva offeso, non disconosceva il diritto e il dovere del Parlamento di affrontare questi temi e anzi sottolineava l'autonomia delle Camere nel ricercare le opportune convergenze. Bene, ritengo che il Parlamento sia chiamato ad assumersi questa grande, giusta e doverosa responsabilità. Registro che non vi sono preclusioni su questo percorso da parte dei leader delle opposizioni nè, appunto, da parte del premier. E quindi è arrivato il momento di passare dalle teorie ai fatti. Così come si sta lavorando sul federalismo fiscale, non vedo perché non debba essere il Parlamento il luogo dove si presentano i testi di riforma sulla giustizia; sulle soluzioni per la crisi economica; sulle infrastrutture. La volontà dei presidenti delle Camere è nota. Insomma tutto è pronto. Adesso si deve cominciare».

Materialmente come si avvia questo percorso?
«Avviando subito la discussione nelle Commissioni con la presentazione delle proposte di governo, maggioranza e opposizione. In modo da iniziare immediatamente il confronto in quello che è il luogo naturale. Ognuno deve mettere sul tavolo le proprie proposte. Basta con gli anatemi, i veti, le contrapposizioni. Si inizi a lavorare sui contenuti».

Scusi presidente, ma insisto. Perché oggi questo tavolo riformista sarebbe più possibile rispetto a ieri? La realtà è che finora i cittadini hanno ascoltato una infinità di appelli, anche nobili ed espressi ad altissimo livello, e però ben poco si muove. Cos'è che adesso renderebbe più facile lo sforzo riformista?
«Innanzi tutto l'esigenza non più differibile di modernizzare il Paese e di intervenire sulla amministrazione del territorio. Con il federalismo e il rafforzamento del principio di responsabilità locale, certamente gli episodi di malcostume amministrativo si ridurranno notevolmente, costringendo gli amministratori ad atteggiamenti di stretta legalità e trasparenza. Poi c'è una crisi economica dagli sbocchi imprevedibili che ci obbliga a modernizzare lo Stato e a rivedere alcuni meccanismi finanziari che hanno portato ad arricchimenti spropositati non guardando al fattore umano ma privilegiando aspetti speculativi. Infine la giustizia. Le vicende che hanno visto fronteggiarsi le procure di Catanzaro e Salerno sono eventi che costringono ad intervenire. Dinanzi ad episodi così eclatanti, la spinta a rivedere gli aspetti della giustizia che non funzionano, senza alcuna volontà rivendicativa o peggio persecutoria nei confronti della magistratura che deve rimanere comunque indipendente, rientra nel comune sentire. Servono scelte coraggiose, lo capiscono tutti».

Ma lei è convinto che davvero tutte le forze politiche siano decise a sedersi al tavolo del confronto comune?
«Me lo auguro. La semplificazione del quadro politico voluta dagli elettori aiuta rispetto ad un anno or sono. Mi rendo conto che ci sono sensibilità diverse, ma non c'è dubbio che rispetto a dodici mesi fa quelle sensibilità diverse si sono molto avvicinate».

E a suo avviso quali sono i settori prioritari di intervento?
«Il federalismo fiscale è già a buon punto. Sulla giustizia, all'indomani delle vicende che hanno toccato alcune amministrazioni e sulle quali non entro nel merito, mi pare che si sono aperti degli spazi di dialogo. Ho trovato interessanti le parole del ministro ombra della giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia: aprono un varco sull'esigenza di maggiori garanzie per il cittadino tutte le volte in cui viene in discussione la limitazione della sua libertà. Sono affermazioni che interpreto come bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Vi trovo una intelligente disponibilità che a mio avviso, pur senza enfatizzarla, va tesaurizzata per iniziare a delineare un percorso. Sempre su questo fronte, non dimentico che in Senato abbiamo un interessante pacchetto di misure sulla giustizia civile del ministro Alfano che arrivano dalla Camera e che speriamo di approvare tra gennaio e febbraio e sulle quali non ho registrato contrapposizioni. Ciò lascia ben sperare per una condivisione. Altro tema importante: il pacchetto sicurezza che a palazzo Madama è già in aula e che pure, al di là di singole norme, non ha visto scontri all'arma bianca tra maggioranza o opposizione. A conferma del fatto che quando poi si arriva in Parlamento con i testi, quando si superano gli steccati degli slogan delle coalizioni, non e difficilissimo trovare delle intese».

E per le intercettazioni?
«Ho sempre sostenuto che potrebbe essere opportuno scindere le questioni. Da un lato, norme che tutelino la privacy dei cittadini con sanzioni non penali per le testate che le violano. Dall'altro, con un provvedimento ad hoc, individuare le modalità di uso delle intercettazioni in riferimento ai tipi di reato. A mio avviso questa sarebbe la strada migliore. Confido tuttavia che anche se si continuerà a lavorare su un unico provvedimento, non ci si trovi all'indomani della indiscriminata pubblicazione di intercettazioni che violano la privacy a gridare tutti allo scandalo dovendoci pentire di non essere intervenuti per tempo».

Dopo la giustizia, cosa?
«Non si può dimenticare il lavoro sulla semplificazione legislativa ben avviato dal ministro Calderoli. E soprattutto non può passare in secondo piano il fondamentale capitolo delle modifiche costituzionali riguardanti la seconda parte della Costituzione. Anche qui le proposte sono ormai tutte sul tavolo: la riduzione del numero dei parlamentari; la differenziazione tra Camera e Senato; l'elezione diretta del premier o il presidenzialismo».

E poi c'è l'emergenza economica. Il governo ha messo a punto alcuni interventi, e c'è da registrare che la linea del ministro Tremonti che ha tenuto stretti i cordoni della borsa, ha avuto effetti positivi, considerato che sostanzialmente i consumi hanno tenuto. Però adesso, con i risparmi così realizzati, si tratta di tutelare i giovani precari...
«Si capisce. Intanto mi lasci ricordare che anche qui le parole spese dal presidente Napolitano sono illuminanti. In secondo luogo trovo molto interessante l'idea di Tremonti di fare in modo che l'utilizzo dei fondi europei, di concerto con le regioni, possa costituire elemento decisivo per gli ammortizzatori sociali. Ci sono dei fondi della Ue destinati alla formazione: la proposta di Tremonti è che i precari, allontanando il pericolo di restare senza tutela, possano attingere a questi fondi con un accordo tra governo.. regioni e Europa».

Infine le infrastrutture, a partire dal Mezzogiorno.
«Più volte mi sono rifatto a Giuseppe Mazzini quando affermava che l'Italia sarà quel che riuscirà ad essere il Mezzogiorno. La questione della crescita economica del nostro Paese passa dalla crescita del Sud. Siamo un'Italia a due velocità e se non ci rendiamo conto che queste due velocità vanno appaiate vuol dire che non riusciremo a delineare un federalismo equo e paritario. Affidarsi all'idea di un generico fondo perequativo non basta. Federalismo significa affermare il principio che il territorio deve sostenersi con le proprie. risorse, ma la risorse arrivano se c'è redditività, se si riesce ad attrarre investimenti. Il Mezzogiorno finora non c'è riuscito anche perchè mancano infrastrutture adeguate. Ha superato il tema dell'illegalità con grande coraggio dando ormai sicurezza a chi investe, ma purtroppo rimane l'handicap dei servizi carenti o decisamente insufficienti. O ci si rende conto di questo e si lavora per colmare il divario con altre parti del Paese - e per inciso mi chiedo ad esempio perchè l'alta velocità si deve fermare a Napoli - o non ne veniamo fuori. E' un tema che deve stare nel preambolo della riforma federalista».

Presidente, proprio sul Messaggero, Carlo Azeglio Ciampi ha sottolineato la necessità si battersi per superare la disuguaglianza sociale, riprendendo uno spirito che permea anche la prima parte della Costituzione. Concretamente, come si fa?
«La Costituzione prevede che lo Stato deve intervenire per rimuovere le cause di disuguaglianza sociale. Dobbiamo coniugare questo principio con quello del mercato, con la logica della competitività, della libertà d'iniziativa e di impresa. Bisogna tenere fermi i principi del libero mercato e rafforzare la logica delle tutele e degli ammortizzatori sociali nei momenti di crisi, come si sta facendo. Riconoscendo come sul tema della disuguaglianza sociale e il sostegno alle fasce più deboli, la Chiesa svolge un ruolo silenzioso e tuttavia strategico».



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