Il Presidente: Articoli

"Per rilanciare lo sviluppo serve più coraggio politico"

Articolo pubblicato dal quotidiano "Il Sole 24 Ore"

23 Novembre 2012

Di Renato Schifani

L'errore più grave, di fronte alla crisi dei partiti e alla perdita di fiducia dei cittadini nei confronti della politica, sarebbe quello di cedere alla rassegnazione o, peggio, a quella che gli osservatori più smaliziati chiamano ormai la "sindrome dell`ultima cena".

La tentazione esiste e chiunque abbia responsabilità istituzionali non può certi ignorarne gli effetti paralizzanti: il confronto tra i partiti si fa sempre più difficile e la mancanza di dialogo finisce per mortificare anche i migliori intendimenti. Ed è proprio la delicatezza del momento a spingermi ancora una volta oltre le mura di Palazzo Madama per tentare di elaborare un insieme di proposte che ci consenta di entrare nella Terza Repubblica senza gli errori, le storture e le zavorre del passato. Vuole essere, il mio, un contributo che, partendo da scelte politiche ormai indispensabili per la salvaguardia della nostra democrazia, cerchi anche di individuare alcuni interventi senza i quali ogni speranza di crescita rischia di precipitare nel vuoto.

1)La Terza Repubblica non potrà rinunciare alla politica del rigore, condizione indispensabile per garantire la nostra sovranità e per costruire un'Europa politicamente più forte e socialmente più solidale. Deve essere, il nostro, un rigore intransigente verso i conti pubblici, che azzeri ogni spreco e liberi risorse per il rinnovamento del sistema produttivo, unico strumento per il rilancio dell'occupazione e per la tutela delle fasce più deboli e bisognose. Serve un fisco certamente rigoroso, ma non opprimente né aggressivo nei metodi, capace di ricreare un patto di fiducia con i contribuenti. E serve un riequilibrio tra imposizione fiscale e taglio delle spese: il sistema "tax and spend" non è più sostenibile.

2) Va risolto il persistente e lacerante conflitto tra politica e magistratura. Al Paese serve invece una reciproca legittimazione e servono soprattutto una classe politica e un ordine giudiziario che si confrontino, con franchezza e con reciproco rispetto, su come velocizzare i processi, su come rendere effettiva la parità tra accusa e difesa, su come tutelare la privacy di chi, trovandosi tra le maglie di una indagine, precipita nel girone infernale della pubblicità, dei verbali e di intercettazioni telefoniche. Ma soprattutto su come fare di una giustizia rapida ed efficiente uno strumento di sviluppo economico.

3) Non potrà esserci un nuovo stato senza una rifondazione radicale dei partiti e degli uomini chiamati al delicatissimo compito di rappresentare gli elettori. Occorre tornare alle origini della rappresentanza: uomini e donne radicati nel territorio, che ne conoscono le esigenze, che se ne fanno portatori con intelligenza e trasparenza. La volontà di partecipazione che si coglie nel Paese, anche se espressa a volte in modo antagonista, va colta come la stanno cogliendo sia i soggetti espressione di ambiti organizzati della società, sia i tanti amministratori locali che con spirito di servizio, di fronte alle ristrettezze della crisi economica, debbono spiegare ai cittadini le ragioni delle scelte cui sono costretti, ma anche ascoltarne con attenzione le preoccupazioni.

4) La macchina dello Stato va adeguata ai nuovi tempi e alle nuove sfide. Oltre alla inaccettabile montagna del debito pubblico, che schiaccia ogni ipotesi di sviluppo, ce n'è un'altra: quella delle troppe leggi, spesso in contraddizione tra loro, delle procedure contorte ed obsolete, delle sovrapposizioni e soprattutto delle competenze che rimbalzano tra amministrazione centrale e amministrazioni periferiche, che creano condizionamenti e vincoli spesso interessati. Le vicende del rigassificatore di Brindisi, bloccato e affossato dopo un calvario burocratico durato undici anni; o lo scandalo dei 36 giorni lavorativi mediamente necessari a una impresa per definire tutti gli adempimenti fiscali, devono averci insegnato che il blocco della crescita non sempre è colpa della Grande Crisi.

5) C'è il nodo delle autorizzazioni e c'è soprattutto la questione di una burocrazia divenuta ormai ingombrante, invadente e spesso anche ossessiva. È una morsa che soffoca progetti ed energie, che blocca risorse ed investimenti, che scoraggia gli imprenditori e crea disoccupazione. Queste catene devono essere spezzate. L'articolo n. 41 della Costituzione sancisce la libertà dell'iniziativa economica privata, per cui occorrerà privilegiare alle autorizzazioni preventive i controlli ex post, e rafforzare l'istituto del silenzio assenso, premiando il merito degli impiegati che fanno il proprio dovere, e sanzionando in maniera decisa e rigorosa inerzie ed inefficienze.

6) Per ridare fiato all'economia e contrastare la recessione, è urgente mettere al centro del nuovo Stato il mondo dell'impresa. Se non si produce ricchezza non c'è occupazione e non c'è sviluppo. Non solo. Il deserto produttivo significa la morte civile perché nemmeno una tassazione al 90% riuscirebbe a tenere in piedi una nazione. L'immissione di liquidità nel sistema può aver luogo prioritariamente attraverso la realizzazione di infrastrutture, ma sempre che lo Stato paghi i lavori eseguiti in tempi certi. Uno strumento decisivo per rimediare al ritardo dei pagamenti, potrebbe essere un fondo di garanzia per i lavori pubblici, che il governo utilizzerebbe di volta in volta a copertura degli oneri finanziari sostenuti dalle ditte in caso di un ritardo nei pagamenti. Il costo di questa operazione sarebbe certamente inferiore ai costi sociali che lo stato verrebbe a sopportare nel caso di fallimento delle imprese.

Noto con piacere che il tema del Terza Repubblica, lanciato da me qualche mese fa con una lettera che voleva chiamare a raccolta il vasto mondo dei moderati, è diventato patrimonio del dibattito politico.

Oggi mi preme dire, a quanti hanno colto il messaggio, che bisogna passare al più presto dalle parole ai fatti, dalle idee di principio alle proposte concrete, dall'affermazione dei valori alla condivisione di un progetto.

Da quando la crisi ha colpito il nostro Paese gli italiani hanno accettato, con straordinario senso dello Stato, sacrifici indicibili. Se non accendiamo subito una speranza, se non diamo il segno concreto che una inversione è possibile, finiremo per aggiungere alle angustie e alle ristrettezze della nostra gente il peso crudele della delusione. È una sfida da non perdere.



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