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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 26 (Nuova Serie), aprile 2015

Populismo. Un carattere originale nella storia d'Italia. Sala Atti Parlamentari, 12 marzo 2015

copertina libroNel dibattito politico e in studi scientifici, sui giornali e in televisione si parla sempre più spesso di populismo. Ma quanti populismi esistono? Che cosa li distingue? Va sempre considerato, il populismo, nella sua accezione negativa?

Con queste domande, il giornalista Stefano Folli ha introdotto un incontro, fortemente voluto dal Presidente della Commissione per la Biblioteca, senatore Sergio Zavoli, svoltosi nella sala degli Atti parlamentari lo scorso 12 marzo, a partire dal volume di Nicola Tranfaglia, Populismo. Un carattere originale nella storia d'Italia (Ed. Castelvecchi, 2014). Il populismo nella sua accezione più classica, ma anche nella sua versione più moderna, quella di neopopulismo. Una categoria, quella del populismo, che appare non troppo definita, che si colloca in un tempo di democrazia basata sulla personalizzazione, sull'uso estremo ed esplicito della comunicazione e del linguaggio, sulla semplificazione del discorso politico.

Durante l'incontro, particolare attenzione è stata rivolta ai risvolti del populismo, in relazione alla situazione nazionale, al suo rapporto con la politica, al suo essere apolitico, ovvero anti-politico. Stefano Folli ha evidenziato come la caratteristica storica preponderante sia il trasformismo eccessivo e la debolezza delle classi dirigenti. Il sociologo Giuseppe De Rita si è soffermato sul rapporto tra popolo e populismo, ha sottolineato come in genere l'attenzione sia storicamente focalizzata quasi esclusivamente su chi detiene il potere. De Rita si chiede quale sia il popolo che anima il populismo. E, soprattutto, se in qualche modo sia corretta la descrizione dei populisti come egoisti sfrenati, cittadini repressi, disadattati cronici, in qualche modo "cacciatori d'oro" alla ricerca di un cambiamento e di una rinascita.

De Rita passa poi a descrivere quello che considera un vero e proprio meccanismo atto a generare populismo: insoddisfazione, delusione e protesta di matrice popolare vengono raccolte e incanalate da qualcuno. Lì dove appaia molto limitata o inesistente ogni forma di intermediazione (l'iniziativa e l'attività di partiti, sindacati, associazioni, cooperative, enti locali), il populismo trova terreno fertile. Inoltre, il populista si appella sempre e comunque al carisma del capo, che compare necessariamente insieme all'assenza di intermediazione. Uno scenario adatto per lo svilupparsi del populismo, secondo De Rita, vede insieme all'opera i seguenti elementi: una mancata forma di mediazione sociale, il carisma di un capo, una forma di decisionismo, di personalizzazione della politica e della decisione, e un attivo e incisivo ruolo dei mass media.

Il professor Yves Mény, autore di fondamentali testi sul concetto di populismo e sul suo rapporto con le forme di governo e la democrazia, ha riflettuto sul terreno politico e istituzionale dentro il quale il populismo tende a svilupparsi; sul modo in cui il populismo evidenzi i limiti della democrazia rappresentativa.

Nicola Tranfaglia nel suo saggio sostiene che il populismo, ossia la capacità di coinvolgere le masse "dicendo loro esattamente quello che vogliono sentirsi dire", costituisce una costante nella storia d'Italia (da Mussolini fino a Giannini, Lauro, Craxi, Berlusconi, Grillo, Renzi e Salvini). Secondo Mény, invece, il populismo non può essere considerato in un'accezione talmente ampia da includere anche il fascismo, bensì va considerato sempre all'interno di un quadro democratico. Il populismo propone una visione diversa di democrazia rispetto a quella predominante. Dopo aver citato gli esempi della rivoluzione francese e dello sviluppo della democrazia americana, Mény precisa che il populismo si presenta essenzialmente come una forma di protesta, ma non costituisce un'ideologia autonoma e ben definita, come quella sviluppata dal regime fascista che, oltre a evidenziarsi come forma di protesta, incarnò anche una marcata ideologia antidemocratica. Qualunque regime democratico, è questa la conclusione di Mény, appare come un insieme di populismo e di costituzionalismo.

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