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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 44 (Nuova Serie), aprile 2018

I senatori di diritto e a vita

Liliana Segre

Abstract

Liliana Segre è stata nominata senatrice a vita il 19 gennaio del 2018. Sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz dove fu deportata ancora bambina, ha dedicato gli ultimi trent'anni della sua vita a rendere testimonianza tra i giovani sugli orrori della Shoah, perché quanto accaduto non cada nell'oblio.

1. La 'zona grigia'

2. Il pezzo [das Stück] numero 75.190

3. Il tempo del silenzio

4. Il tempo della testimonianza

5. L'incarico parlamentare

6. Bibliografia di riferimento

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1. La 'zona grigia'

Liliana Segre nasce a Milano il 10 settembre del 1930 da una famiglia di origine ebraica di piccoli imprenditori. Orfana di madre, vive circondata dall'amore dei nonni paterni e del padre a cui è profondamente legata. È ancora una bambina quando a otto anni viene espulsa dalla scuola che frequenta a causa dell'entrata in vigore dei Provvedimenti in difesa della razza che prevedono, tra l'altro, il divieto per gli ebrei di frequentare la scuola pubblica di ogni ordine e grado: non capisce, Liliana, la ragione di tale allontanamento, non comprende perché da quel momento in poi non ha più nessuno con cui studiare e giocare. Sono anni difficili per la famiglia Segre: controllati dalla polizia, ignorati dai conoscenti, sono costretti a vivere in una dimensione separata dal resto della società civile. Un isolamento che pesa come un macigno sulla piccola Liliana, che scriverà: «all'improvviso eravamo stati gettati nella zona grigia dell'indifferenza: una nebbia, un'ovatta che ti avvolge dapprima morbidamente per poi paralizzarti nella sua invincibile tenaglia. Un'indifferenza che è più violenta di ogni violenza, perché misteriosa, ambigua, mai dichiarata: un nemico che ti colpisce senza che tu riesca mai a scorgerlo distintamente.» (Zuccalà, 2005, p. 18)

La situazione si inasprisce con l'entrata in guerra dell'Italia e dopo l'8 settembre 1943 precipita definitivamente. La persecuzione degli ebrei nella Repubblica di Salò è capillare: rassicurato da un falso documento che sembrava cautelare gli anziani genitori, Alberto Segre tenta con la figlioletta Liliana di passare il confine con la Svizzera. La fuga non riesce: fermati alla frontiera elvetica vengono rimpatriati e immediatamente arrestati. Rinchiusi prima nel carcere di Varese e poi in quello di Como, Alberto e Liliana Segre vengono tradotti infine nel carcere milanese di San Vittore, dove resteranno nella stessa cella per quaranta giorni prima di essere deportati ad Auschwitz. Struggente è il ricordo di Liliana di quell'ultimo periodo passato insieme al padre: «quello che mio papà e io ci siamo dati reciprocamente nel breve tempo vissuto insieme mi è bastato, mi è rimasto per tutta la vita e il suo ricordo è riuscito perfino a salvarmi da un'infinità di situazioni di autentica disperazione. Eravamo noi due in quella cella. Ho vissuto momenti di felicità nel carcere di San Vittore perché ero con lui.» (Zuccalà, 2005, p. 29).

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2. Il pezzo [das Stück] numero 75.190

Il 30 gennaio del 1944 Alberto e Liliana Segre vengono trasferiti, insieme ad altre seicento persone, alla stazione centrale di Milano: al binario 21 è ad attenderli il convoglio che li porterà ad Auschwitz. La Segre descrive le condizioni bestiali di quel viaggio verso il campo di sterminio e racconta dei pianti e della sete, delle preghiere e, infine, del silenzio di quella straziata e incredula umanità. Una volta arrivata nel campo di sterminio e passata la prima selezione per la vita, la bambina verrà identificata con il numero di matricola 75.190. L'identità di ciascuno è smarrita per sempre: gli internati diventano degli Stücke, semplici pezzi di un meccanismo infernale.

Liliana Segre rimarrà ad Auschwitz un anno: non rivedrà mai più né il padre, dal quale verrà separata alla fine del viaggio, né i nonni paterni anch'essi uccisi nel campo di sterminio. Il caso e un incrollabile amore per la vita le permetteranno di sopravvivere non soltanto al lager, ma anche all'evacuazione dal campo a opera degli stessi nazisti che, consapevoli dell'imminente sconfitta militare, avrebbero voluto nascondere al mondo il tentativo di realizzare quella 'soluzione finale' del problema ebraico prospettato dal nazismo, costringendo gli ultimi superstiti a raggiungere a marce forzate il nord della Germania (Guida, 2017. p. 109 e ss.)

L'ultima tappa di quella marcia di morte è il lager di Malchow. Gli internati che sono riusciti ad arrivare fino là sono ormai allo stremo delle forze. Sanno che la morte arriverà o per inedia o per mano dei nazisti, intenzionati a ucciderli tutti prima di fuggire. Ma non ne avranno il tempo: il 2 maggio del 1945 il campo viene liberato dall'Armata Rossa. Gli aguzzini tentano di confondersi tra la folla dei superstiti, si vestono da civili dismettendo le uniformi. In quella confusione Liliana, oramai quattordicenne, si trova accanto il comandante del lager che si libera dei panni militari e getta via la pistola. Prendere l'arma e uccidere il carnefice, finalmente vendicarsi di tutto il male patito: ci sarebbe voluto soltanto un attimo. Ma in quell'attimo così importante per la sua vita, Liliana si rende conto di aver già fatto la sua scelta: «non avrei mai potuto raccogliere la pistola - sostiene- e sparare al comandante di Malchow. Io avevo sempre scelto la vita. Quando si fa questa scelta non si può togliere la vita a nessuno. E da quel momento sono stata libera.» (Zuccalà, 2005, p. 64).

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3. Il tempo del silenzio

Trascorrono quattro mesi prima del ritorno a casa. Un lungo periodo, durante il quale Liliana Segre comincia a riprendere le forze fisiche e psicologiche necessarie per ritornare a una vita normale. Il 31 agosto del 1945 rientra a Milano e andrà ad abitare prima con gli zii e, in seguito, con i nonni materni. Rientrare in una dimensione di assoluta quotidianità non è semplice; raccontare quanto accaduto ad Auschwitz è ancora più difficile. È impensabile comunicare l'orrore dei campi, l'annientamento fisico e morale, la solitudine e l'empietà degli aguzzini soprattutto a chi ha comunque sofferto e adesso non vuole far altro che dimenticare: «tutti intorno a me - scrive - sentivano la necessità di competere, quasi, a chi avesse patito di più, a chi fosse stato privato del maggior numero di beni e di oggetti. [...] Ognuno aveva qualcosa da raccontare, ma io subito avevo fatto la mia scelta, perché capivo che era troppo difficile rendere la mia vicenda, se non a costo di una profonda elaborazione che allora non ero in grado di affrontare» (Zuccalà, 2005, p. 107). E così quell'isolamento interiore, iniziato al tempo delle prime vessazioni subite per le leggi razziali e, in seguito, diventato profondissimo con l'esperienza del campo di sterminio, si tramuterà nel tempo in una vera e propria barriera di silenzio che l'adolescente e, in seguito, la donna adulta interporrà tra lei e il resto del mondo. Relegare l'esperienza di Auschwitz in un angolo remoto della memoria e vivere una vita normale: è questo il desiderio di Liliana, soprattutto dopo essersi innamorata ed aver sposato Alfredo nel 1951 insieme al quale metterà al mondo tre figli.

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4. Il tempo della testimonianza

Le cose iniziano a cambiare in età matura. A 46 anni si manifestano i sintomi di un profondo malessere interiore che si aggraveranno in seguito alla perdita della nonna materna alla quale è profondamente legata: la grave depressione durerà qualche anno e i ricordi della tragica esperienza nel lager, così a lungo repressi, riaffioreranno in tutta la loro brutalità, perché «Auschwitz non si cancella. Auschwitz ti lavora dentro. Sempre.» (Zuccalà, 2005, p. 76). Le cure e l'inizio di una attività lavorativa a seguito della decisione di rilevare l'azienda di tessuti del fratello del padre, le daranno la forza necessaria per reagire agli attacchi di panico e una rinnovata fiducia in se stessa. Si fa strada in lei con chiarezza la consapevolezza che tanta parte del disagio vissuto nel periodo appena trascorso sta nella convinzione di non aver ancora onorato un debito: «una motivazione privatissima, che va oltre il valore pubblico e universale di una testimonianza su un pezzo di storia come la Shoah.[…] io ho iniziato a testimoniare per un debito non pagato. Lo dovevo a tutte le vite che ho visto spezzare intorno a me, ai giovani che non sono mai diventati adulti.» (Zuccalà, 2005, p. 70-71).

Inizia così il suo personale percorso di testimone della Shoah: il suo pubblico sono i giovani, gli studenti e i loro insegnanti perché è al futuro che Liliana Segre vuole rivolgersi. Dal 1990 tiene incontri nelle scuole: inizialmente si tratta di piccole classi, con l'andare del tempo la partecipazione diventa sempre più numerosa e la stessa testimone cerca di avere una platea la più ampia possibile. Si tratta di una scelta per certi versi obbligata: «io non ho più tempo - confessa la Segre, che di fatto è una tra le ultime sopravvissute ai campi di sterminio -: sento che le mie forze diminuiscono ogni anno di più, e i giorni corrono via così in fretta… Devo riuscire a raggiungere il maggiore numero possibile di studenti.» (Zuccalà, 2005, p. 79) Dalle aule di liceo a quelle dell'Università, dalle ricorrenze pubbliche ai programmi televisivi, Liliana Segre non si risparmia e la sua testimonianza è stata ascoltata da migliaia di giovani, in molti dei quali le sue parole hanno lasciato segni profondi, come si evince dai tanti scritti a lei inviati dopo gli incontri. Questa sua opera di trasmissione della memoria senza perdono, ma al tempo stesso priva di qualsiasi sentimento di odio e di vendetta, ha valso alla Segre, oggi Presidente del Comitato per le Pietre d'inciampo, una serie di importanti riconoscimenti: nominata nel 2004 commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica italiana dall'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, ha ricevuto nel 2008 una prima laurea honoris causa in giurisprudenza dall'Università di Trieste, ed una seconda in Scienze pedagogiche dall'Università di Verona nel 2010.

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5. L'incarico parlamentare

Il 19 gennaio 2018 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha nominato Liliana Segre senatrice a vita, ai sensi dell'articolo 59, secondo comma, della Costituzione, per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale. Del decreto di nomina è stata data comunicazione al Senato il 23 marzo dal Presidente provvisorio, Giorgio Napolitano, nella seduta di apertura della XVIII legislatura.

Quarta donna, nella storia dell'Italia repubblicana, a essere insignita della carica di senatore a vita dopo Camilla Ravera, Rita Levi-Montalcini ed Elena Cattaneo, la neosenatrice ha appreso del conferimento dell'incarico direttamente dal Capo dello Stato che l'ha raggiunta telefonicamente nella sua casa di Milano. Profondamente emozionata, Liliana Segre ha dichiarato di considerare la nomina come una sorta di 'risarcimento' da parte di quello Stato che 80 anni prima aveva degradato i suoi cittadini di religione ebraica a un rango inferiore, consentendo la loro persecuzione e la loro deportazione oltre i confini dell'Italia, e che invece oggi apre loro le porte del Senato della Repubblica «e insieme a me, porta nel cuore delle istituzioni repubblicane anche le voci meno fortunate, le voci di chi non è tornato. Di quelli che non hanno una tomba e sono finiti nel vento.» (Fiori, 2018, p.10-11, intervista a Liliana Segre: "Io da Auschwitz a senatrice a vita, ma non dimentico e non perdono"). Il suo impegno come senatrice continuerà ad essere quello di tramandare la memoria in linea con i valori della nostra Costituzione, anche se l'incarico parlamentare non le impedirà di proseguire la sua missione di rendere testimonianza della Shoah tra i giovani studenti perché non dimentichino l'orrore e non si abituino all'indifferenza: «Finché avrò la forza, continuerò a raccontare ai ragazzi la follia del razzismo. Senza odio, senza spirito di vendetta. Sono una donna libera. E la prima libertà è quella dall'odio.»

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6. Bibliografia di riferimento

Le opere sono elencate in ordine alfabetico per autore.

Simonetta Fiori, Intervista a Liliana Segre «Io da Auschwitz a senatrice a vita, ma non dimentico e non perdono», "La Repubblica", 20 gennaio 2018, p. 10-11.

Elisa Guida, La strada di casa. Il ritorno in Italia dei sopravvissuti alla Shoah, Roma, Viella, 2017, p. 116 e ss)

Bruno Maida, La Shoah dei bambini. La persecuzione dell'infanzia ebraica in Italia 1938-1945. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2013.

Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana. I racconti di chi è sopravvissuto. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2009.

Emanuela Zuccalà, Sopravvissuta ad Auschwitz. Liliana Segre fra le ultime testimoni della Shoah. Paoline Editoriale Libri, Milano, 2005.

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