Mercoledì 7 Ottobre 2015 - 519ª Seduta pubblica

(La seduta ha inizio alle ore 09:33)

L'Assemblea ha ripreso l'esame del ddl n. 1429-B, recante disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Costituzione, già approvato dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati.

Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Pizzetti ha espresso parere contrario sugli emendamenti riferiti all'articolo 12, che modifica l'articolo 72 della Costituzione, ad eccezione degli emendamenti 12.82c e 12.86c, votabili a scrutinio segreto, per i quali si è rimesso all'Assemblea. I due emendamenti sono stati respinti con soli 13 voti di scarto. E' stato approvato l'articolo 12, che introduce una corsia preferenziale per i disegni di legge essenziali ai fini dell'attuazione del programma di governo che devono essere approvati dalla Camera entro 70 giorni. Hanno svolto dichiarazione di voto contraria i sen. Endrizzi (M5S), De Cristofaro (SEL), Malan (FI-PdL), Mario Mauro (GAL), Arrigoni (LN), Campanella (Misto). Le opposizioni hanno posto l'accento sulla mancanza di adeguati contrappesi al potere dell'Esecutivo, che rende più fragile la democrazia e meno qualificata la decisione. La Lega Nord non è entrata nel merito, limitandosi a ricordare che la maggioranza allargata a Verdini ha rifiutato ogni possibilità di dialogo.

E' stato approvato l'articolo 13, che introduce il giudizio preventivo di legittimità della Corte costituzionale sulle leggi elettorali. I sen. Calderoli (LN), Endrizzi (M5S) e D'Ambrosio Lettieri (CR) hanno ritirato gli emendamenti agli articoli 13, 14, 16 e 17. E' stato approvato l'articolo 14 che riguarda il potere del Presidente della Repubblica di chiedere alle Camere, con messaggio motivato, una nuova deliberazione. La Camera ha soppresso la possibilità di rinvio per specifiche disposizioni. Se la legge è nuovamente approvata, deve essere promulgata. L'articolo 15, che modifica le disposizioni sul referendum popolare, non è stato modificato dalla Camera. E' stato approvato l'articolo 16 in materia di decretazione d'urgenza: esso prevede che il Governo non può disciplinare con decreti-legge le materie per le quali è prevista la procedura normale (ddl in materia costituzionale, delegazione legislativa, autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, approvazione di bilanci) e che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione, di contenuto specifico e omogeneo.

E' stato approvato l'articolo 17: esso prevede che la Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra. Con motivazioni diverse, i sen. Augello e Quagliarello (AP), Marton (M5S), Campanella (Misto), Nerina Dirindin (PD) e Uras (SEL) hanno espresso perplessità sulla formulazione approvata alla Camera. Secondo AP la formulazione indebolisce il divieto di guerra offensiva sancito nei principi fondamentali della Costituzione. Secondo SEL, per la deliberazione dello stato di guerra andrebbero previsti un quorum più elevato e il coinvolgimento del Senato, anche in considerazione del fatto che le operazioni militari internazionali sfuggono sempre più al controllo parlamentare. Il sen. Arrigoni (LN) ha osservato che, in base all'Italicum, la deliberazione dello stato di guerra spetterà al partito di maggioranza relativa, che alla Camera avrà la maggioranza assoluta dei seggi. E' stato respinto l'emendamento 17.2009 a prima firma della sen. De Petris (SEL), identico all'emendamento 17.201 della sen. Dirindin (PD), che richiedeva la maggioranza assoluta dei componenti. Hanno annunciato voto favorevole all'emendamento 17.201 i sen. Battista (Aut), Crimi (M5S), Uras (SEL), Bencini (Misto), Mario Mauro (GAL), Calderoli (LN), il sen. Mineo (PD) a titolo personale e, in dissenso dal Gruppo, il sen. Scilipoti Isgrò (FI-PdL). I sen. Romani (FI-PdL) e Augello (AP) hanno invece annunciato voto contrario: lo stato di guerra dovrebbe essere deliberato a maggioranza semplice. Secondo la sen. Finocchiaro (PD) l'emendamento 17.201 è privo di portata modificativa. Secondo il sen. Endrizzi (M5S) se ciò fosse vero, l'emendamento avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile. Nella dichiarazione di voto sull'articolo 17, il sen. D'Alì (FI-PdL) e la sen. Bencini (Misto-IdV) hanno invitato a bocciare il testo approvato dalla Camera e a lasciare immutato l'attuale previsione della Costituzione. Il sen. Cociancich (PD) ha annunciato voto favorevole all'articolo che rafforza il ruolo del Parlamento. Secondo il sen. Mario Mauro (GAL) e la sen. De Petris (SEL) è stato un errore sottrarre al Senato la competenza in materia di deliberazione dello stato di guerra. Rispondendo alle accuse di M5S, LN e CR, il sen. Gasparri (FI-PdL) ha respinto le ipotesi di un soccorso azzurro o di un Nazareno-ter.

La Camera non ha modificato gli articoli 18, 19 e 20 che riguardano le leggi di amnistia e indulto, l'autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, le inchieste parlamentari. E' stato approvato l'articolo 21, sui quorum di elezione del Presidente della Repubblica. All'elezione del Presidente della Repubblica non partecipano più i delegati regionali. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti, dal settimo scrutinio la maggioranza dei tre quinti dei votanti. La Ministro Boschi ha espresso parere contrario su tutti gli emendamenti. Il sen. Gotor (PD) ha ritirato i suoi emendamenti, ritenendo che il testo licenziato dalla Camera eviti il rischio che il vincitore del premio di maggioranza scelga da solo il Presidente della Repubblica. Secondo il sen. Campanella (Misto) il rischio permane, se si considerano i voti della coalizione vincente. Secondo il sen. Di Maggio (CR) il ritiro degli emendamenti dimostra ancora una volta che la maggioranza si fonda sul ricatto. Il sen. Candiani (LN) ha accusato la sinistra del PD di scarso coraggio.

Il sen. Calderoli (LN) ha spiegato perché la formulazione dei tre quinti è insufficiente: gli elettori del Capo dello Stato saranno 735, il numero legale sarà 368, dal settimo scrutinio sarebbero sufficienti 221 voti per eleggere il Presidente della Repubblica. La soppressione del riferimento alla maggioranza dei tre quinti dei votanti, eleverebbe il quorum a 441 voti. Anche il sen. Quagliarello (AP) ha espresso perplessità sull'articolo 21: avrebbe dovuto essere ampliata la platea degli elettori e prevista una norma di chiusura per impedire un eventuale stallo. Anche il sen. Casini (AP) ha ravvisato la necessità di una norma che costringa a trovare l'accordo per eleggere il Presidente della Repubblica. Il sen. De Cristofaro (SEL) ha ricordato che l'attuale legge elettorale ipermaggioritaria determina un grave squilibrio nel sistema delle garanzie. Il sen. Mineo (PD) ha ricordato che il ddl costituzionale muta surrettiziamente la forma di governo e altera il profilo di garanzia del Presidente della Repubblica. Il sen. Caliendo (FI-PdL) ha rilevato che l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, a partire dall'ottavo scrutinio, sarebbe garanzia di rappresentatività e offrirebbe un reale contrappeso al potere del Presidente del Consiglio. Gli emendamenti di Misto-SEL e LN, volti a sopprimere il periodo che fa riferimento alla maggioranza dei tre quinti dal settimo scrutinio, sono stati respinti. Respinto anche l'emendamento, originariamente presentato dal sen. Palermo (Aut), volto a precisare che la maggioranza dei tre quinti dei votanti, dal settimo scrutinio, è sufficiente se l'esito della votazione non è inferiore alla maggioranza assoluta dei componenti. Respinto anche l'emendamento della sen. Bisinella (Misto) che prevede dall'ottavo scrutinio l'elezione diretta tra i due candidati più votati. I sen. Quagliarello e Augello (AP) hanno dichiarato di non partecipare al voto dell'articolo 21. La sen. Lo Moro (PD), nell'annunciare voto favorevole, ha rilevato che non è stata trovata una soluzione alternativa credibile. I sen. Gasparri (FI-PdL) e Bruni (CR) hanno annunciato voto contrario ad un articolo che svilisce il ruolo del Presidente della Repubblica, che sarà espressione del partito del premier. Il sen. Centinaio (LN) ha accusato FI di aver fatto da stampella al Presidente del Consiglio sull'articolo 17, in un momento di fragilità della maggioranza. Il Gruppo LN ha abbandonato i lavori per non essere complice di un progetto di distruzione della democrazia. Il sen. Romani (FI-PdL) ha negato che i voti di FI siano stati determinanti per respingere l'emendamento della sen. Dirindin e ha rivendicato la scelta di privilegiare il merito costituzionale rispetto al tatticismo parlamentare. Il sen. Castaldi (M5S) ha annunciato la non partecipazione del Gruppo al voto. Il sen. Scilipoti Isgrò (FI-PdL) ha invitato le opposizioni a rimanere compatte nella battaglia contro il ddl.

Dopo l'approvazione dell'articolo 21, la sen. De Petris (SEL), evidenziando la totale chiusura a ogni proposta migliorativa, ha ritirato tutti gli emendamenti ad eccezione di una proposta all'articolo 33. Il sen. Pagliari (PD) ha negato che il ddl contenga elementi di sovversione della democrazia e ha accusato le opposizioni di avere rifiutato in modo aprioristico il nuovo modello parlamentare. La sen. Mussini (Misto) ha ricordato al sen. Pagliari tutte le riforme imposte dal Governo, senza alcun confronto parlamentare. Secondo il sen. Barozzino (SEL) il PD, che riscrive quaranta articoli della Costituzione, senza mai citare la democrazia partecipata, sta tradendo il mandato degli elettori. Il sen. Endrizzi (M5S) ha ricordato le storture del ddl evidenziate da tutti i costituzionalisti ascoltati in Commissione. La sen. Bisinella (Misto-Fare) ha affermato che la sua componente ha cercato di migliorare il testo e ha criticato la LN per avere presentato ottantacinque milioni di emendamenti. Il sen. Carraro (FI-PdL) si è dichiarato fiducioso nel vaglio degli elettori. Secondo il sen. Casini (AP) la riforma non è un attentato alla Costituzione: alcune opposizioni stanno strumentalizzando il ddl costituzionale per sfogare malumori e imbastire la campagna elettorale. Il sen. Gasparri (FI-PdL) ha evidenziato che, nonostante l'opposizione costruttiva del suo Gruppo, la riforma costituzionale è stata gestita come un affare interno al PD. Il sen. Di Maggio (CR) ha ricordato le forzature che hanno segnato l'iter della riforma voluta dal Presidente del Consiglio: gli ottantacinque milioni di emendamenti di LN non sono la causa ma l'effetto del mancato confronto. Il sen. Zanda (PD) ha precisato che la maggioranza è solida e il Presidente del Consiglio ha la fiducia del Parlamento.

Gli articoli da 22 a 26 non sono stati modificati dalla Camera. E' stato approvato l'articolo 27, introdotto dalla Camera: prevede che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento, l'imparzialità e la trasparenza dell'amministrazione. Il Governo si è rimesso all'Assemblea sull'emendamento 27.900 del sen. Calderoli (LN), votabile a scrutinio segreto. L'emendamento prevede che gli uffici pubblici sono organizzati secondo legge bicamerale a tutela delle minoranze linguistiche. Tutti gli emendamenti sono stati respinti.

La Camera non ha modificato gli articoli 28 e 29, corrispondenti agli articoli 27 e 28 del testo approvato dal Senato. L'Assemblea è passata all'esame dell'articolo 30 che indica le materie di cui all'articolo 117 sulle quali possono essere attribuite alle Regioni ulteriori forme e condizioni di autonomia. Il Sottosegretario Pizzetti ha espresso parere favorevole sull'emendamento 30.200 del sen. Russo (PD), a condizione che sia riformulato. Secondo il sen. Crimi (M5S) il Governo dovrebbe presentare un suo emendamento per consentire alle opposizioni di subemendarlo. Il Presidente, che non è stato preventivamente informato della riformulazione, ha considerato la proposta un emendamento del Governo e ha fissato un termine per presentare subemendamenti. La sen. De Biasi (PD) si è dichiarata contraria all'inserimento delle politiche sociali e sanitarie nel regionalismo variabile, che implica un vincolo di bilancio.

(La seduta è terminata alle ore 20:25 )



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