Il Presidente: Discorsi

Ricordo del senatore Giuseppe Bartolomei

Discorso pronunciato ad Arezzo, al convegno in ricordo del senatore Giuseppe Bartolomei che si è svolto nella Sala dei Grandi del Palazzo della Provincia.

16 Novembre 2007

Autorità, signore e signori,
ho accolto volentieri l'invito del presidente del "Centro di Studi storici, economici e sociali Amintore Fanfani" a partecipare a questa iniziativa in ricordo del senatore Giuseppe Bartolomei, scomparso nel settembre del 1996. Ai suoi familiari desidero rivolgere un saluto particolarmente affettuoso. Desidero anche ringraziare gli oratori che mi hanno preceduto. I loro contributi, interessanti e appassionati, ci hanno aiutato a conoscere di più un politico animato da alta ispirazione cristiana, un uomo di governo, un parlamentare prestigioso e poi anche un esponente di spicco del mondo del credito che tanto ha dato al nostro Paese.

Il convegno di oggi, i lavori editoriali che ci sono stati presentati, rappresentano un meritato riconoscimento al valore ed alla statura politica di Bartolomei. Credo di essere stato chiamato non per assolvere al compito di storico ma per cogliere nella vicenda politica di Bartolomei tratti e elementi utili ad orientarci in questo presente non certo facile né di agevole lettura. Ed è su questo registro che intendo svolgere alcune, brevi, considerazioni.

Ricordare l'esperienza politica ed umana di Giuseppe Bartolomei, a oltre dieci anni dalla morte, significa sotto vari aspetti rievocare un'epoca lontana della storia del Paese, un'epoca che si potrebbe sbrigativamente considerare chiusa e incapace di parlare all'Italia di oggi. A ben vedere però non è così. La sua lunga carriera parlamentare ha infatti attraversato momenti significativi ed anche drammatici della nostra storia. L'eco di tali avvenimenti ancora resta nelle vicende dell'attualità politica italiana, nonostante il mutamento delle condizioni interne ed internazionali. Di questi avvenimenti Bartolomei è stato testimone attento e partecipe, animato da grande passione civile.

Bartolomei inizia la carriera politica poco più che ventenne nelle fila della Dc. Ben presto un illustre conterraneo, Amintore Fanfani, ne intuisce le qualità morali e di ingegno e ne appoggia il cursus honorum all'interno delle Istituzioni. Ricopre prima la carica di consigliere comunale, poi quella di segretario provinciale della DC aretina. Dal 1961 al 1963 è segretario particolare e capo della segreteria di Fanfani Presidente del Consiglio. Subito dopo approda al Parlamento nazionale. Sarà senatore, e più volte capogruppo dc, fino all'ottava legislatura. Ministro dell'Agricoltura nel primo governo Forlani ricopre lo stesso incarico nel secondo governo Spadolini. Assumerà, al termine dell'impegno parlamentare, la guida della Banca Toscana, di cui è presidente fino al '96, anno della morte. Rammento anche la sua convinta adesione al Ppi e alla scelta dell'alleanza di centrosinistra.

Alla sua morte, il mio predecessore, il presidente Nicola Mancino, ne volle rievocare «le grandi capacità e l'impegno di lavoro profusi per lunghi anni nell'assemblea di palazzo Madama». Da parte mia posso assicurare che ancora oggi, in Senato, è vivo il ricordo di Bartolomei e grande la considerazione per l'autorevolezza del parlamentare e del presidente di gruppo.

La lunga stagione vissuta in Parlamento e la dedizione al compito assegnatogli dagli elettori e poi dai senatori della Democrazia cristiana non possono non indurre me, presidente di una Camera, a sottolineare la centralità del Parlamento e il ruolo decisivo che svolge nella nostra democrazia perché essa corrisponda pienamente ai caratteri delineati dalla Carta Costituzionale. Proprio per questo è mia convinzione che sia giunto il tempo di una revisione del cosiddetto bicameralismo perfetto e di una riforma, in senso federale, del Senato della Repubblica.

Queste riforme, insieme ad altre, sono in agenda non da oggi. Ma l'approdo ancora non si scorge. Sono convinto che la politica, ovvero tutti gli schieramenti, debbano compiere ogni sforzo, proprio per onorare quanti come Bartolomei hanno avuto e vissuto quest'alta considerazione per il Parlamento, perché le assemblee legislative adeguino le proprie strutture e procedure al mutare dei tempi e delle esigenze della società.

Ho sempre e costantemente affermato che le riforme devono trovare un consenso tra le forze politiche quanto più ampio possibile perché questa è la condizione della condivisione reale del Paese e perché solo in questo modo esse vengono messe al riparo dalla tentazione che, mutate le maggioranze, si mutino anche le riforme. Questa riflessione vale anche per la riforma elettorale. Naturalmente non mi compete selezionare uno o un altro modello, sta alle forze politiche e al dibattito parlamentare cercare e trovare intese. Mi preme però sottolineare quelle che considero tre esigenze non eludibili da soddisfare: superare la frammentazione, assicurare le condizioni per l'alternanza degli schieramenti e quindi la stabilità, restituire al cittadino il potere di decidere chi mandare a rappresentarlo.

Il giudizio dei cittadini - lo dico qui pensando a Giuseppe Bartolomei, al suo rapporto con questo territorio e la sua gente e alla sua capacità di meritarne il consenso in così tante elezioni - è una regola della politica, forse "la" regola, a cui una buona politica non può e non deve sottrarsi.

L'ultima considerazione mi viene suggerita dal titolo della pubblicazione del 1994, oggi presentata in ristampa, di Bartolomei, "Note in controtendenza per una interpretazione del cambiamento". Che cos'è la politica senza questa caratteristica? Che cos'è la politica senza questo desiderio mai sazio di comprendere ciò che si muove attorno a noi, nella società, nel mondo, tra le persone e le comunità? Gli uomini politici e, consentitemi, gli uomini che fanno dell'ispirazione cristiana la fonte della propria scelta per la politica, non possono chiudersi nelle loro stanze e palazzi, credendo di avere le ricette e le chiavi per risolvere i problemi che alla politica vengono posti. Essi devono essere animati costantemente da questo desiderio di capire e di interpretare - come suggeriva Bartolomei - perché poi ad essi, e solo ad essi, spetta la responsabilità della decisione. E si capisce stando "nel mondo", tra la gente e standoci anche in maniera sobria, facendo della misura la cifra della propria vita pubblica. E si capisce anche recuperando la dimensione dei "pensieri lunghi", rifuggendo quella consuetudine ahimè oggi tanto di moda, di dare risposte e trovare ricette che siano buone "a bucare" il video, valide cioè per ventiquattr'ore al massimo. Così facendo si fa un cattivo servizio alla politica ed al rispetto che per essa devono avere i cittadini.

Penso che le parole ascoltate questa sera, penso che il rivivere l'esperienza umana e politica di Bartolomei, possano aiutarci a trovare ragioni e motivi per combattere questa condizione negativa.



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