Discorso d'insediamento del Presidente Tommaso Tittoni (1° dicembre 1919-7 aprile 1921)

Senato del Regno, tornata del 5 dicembre 1919

Presidenza del Vice Presidente Paternò

e poi del Presidente Tittoni Tommaso

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PRESIDENTE. (vivi segni di attenzione):

Tommaso TittoniOnorevoli colleghi.

Nell'ascendere a quest'alto seggio nel giorno in cui per la prima volta tutti i membri della Presidenza traggono la loro origine dal voto dell'Assemblea, il mio primo pensiero si rivolge, insieme al vostro, alla cara e nobile figura del collega illustre che lo ha lasciato, dopo averlo occupato con grande dignità e prestigio. Vada a lui l'augurio nostro fervido insieme alla manifestazione della nostra riconoscenza e del nostro affetto, che per consenso unanime è stata solennemente registrata negli atti del Senato. (Approvazioni).

Nel corso di circa settant'anni hanno tenuto questo seggio, sul quale proiettano ancora fulgida luce, patrioti, statisti, soldati, giureconsulti, che legarono in perpetuo il loro nome alla grandezza della Patria. Ispiriamoci al loro esempio ed il loro ricordo suoni per noi tutti guida, eccitamento, conforto.

Voi mi avete designato a succeder loro con notevole prevalenza di suffragi, che è prezioso titolo di onore per me e che mi dà sicuro e gradito affidamento della vostra cordiale cooperazione. Ma nella vostra concordia io amo ravvisare altresì la prima manifestazione di un proposito di coesione patriottica in un momento, in cui l'unione dei migliori cittadini in tutto il paese s'impone come un preciso dovere. (Approvazioni). La concordia del Senato sarà pel paese un insegnamento ed un monito. Voi lo indurrete a considerare i danni irreparabili dell'astensione suicida, voi lo incoraggerete a quella attività operante e continuativa, che è necessaria per fronteggiare coloro che credono che la grave crisi che attraversiamo e che tutti i paesi, anche se vincitori, come il nostro lo fu, hanno attraversato dopo guerre lunghe, costose, cruente, possa essere occasione propizia ad insidie, possa offrire terreno fecondo per trapiantare fra noi le nuove forme dissolvitrici della società sorte in quelle stesse regioni, dalle quali quindici secoli fa mossero verso occidente le orde dei barbari (bene), e che, se dovessero trionfare, distruggerebbero la civiltà moderna e respingerebbero l'umanità negli orrori e nelle tenebre che già conobbe nel medio-evo, dopo le invasioni barbariche. (Applausi).

Durante la guerra e per la guerra una profonda trasformazione si è iniziata negli animi e nelle cose, ed ora si va compiendo attraverso un disagio morale e materiale che, se avesse a prolungarsi troppo, o non dovesse trovare entro un conveniente termine il suo assetto, non sarebbe senza pericolo.

L'opera della Conferenza per la pace, lenta, incerta, non sempre coerente, né sempre conforme agli ideali, che trassero i popoli alla guerra, o alle legittime aspirazioni loro, per la cui realizzazione sopportarono enormi sacrifici, ha prodotto malcontento ed irrequietezza. Era naturale che di questo stato dell'anima popolare si avesse l'espressione più energia nell'Italia, che trovò maggiore resistenza delle altre nazioni nel conseguimento dei suoi fini di guerra, che pur troppo ancor oggi sono oggetto di dibattito e di contrasto, malgrado la moderazione ed equità delle domande nostre e malgrado l'appoggio degli alleati, ai quali siamo strettamente uniti. (Bene)

Tale stato di penosa incertezza ha dato luogo tra noi a reazioni, delle quali seil sentimento patriottico che lo ha mosso ha potuto spiegare la subitanea esplosione, non dovrebbero oramai prolungarsi più oltre, poiché all'estero faciliterebbero le denigrazioni a nostro danno, ed all'interno darebbero esca alla funesta propaganda sovversiva, alla quale l'indebolimento della disciplina civile e militare non può che spianar meglio la via. (Approvazioni). Causa di svalutazione della nostra posizione all'estero è inoltre qualunque turbamento dell'ordine pubblico, che non può essere a nessun patto tollerato, nemmeno nei riflessi interni, poiché, senza l'ordine, la libertà altro non è se non una vana parola. (Approvazioni).

D'altra parte, il profondo sconvolgimento prodotto dalla guerra in tutto il diritto pubblico e privato, in tutto il sistema fiscale, in tutti i meccanismi ed in tutte le forme dell'economia nazionale, ha leso gl'interessi di molti, ai quali il danno è sembrato più cocente per lo spettacolo dell'arricchimento di pochi, e pesa su tutte le classi mediante il rinvilimento della moneta, l'incrudimento dei cambi e l'aumento in proporzione intollerabile dei prezzi di tutti i generi necessari alla vita. Governo e Parlamento hanno pertanto dinanzi a loro un grave compito di ricostituzione morale e materiale, al quale il Senato si prepara a contribuire con patriottico zelo.

Noi dobbiamo rimuovere le cause del disagio che travaglia le popolazioni e che non solo non è cessato con la guerra, ma, dopo la guerra, si è maggiormente inasprito. Noi dobbiamo desiderare un avvenire di pace tra i popoli e concentrare tutti i nostri sforzi pel raggiungimento di questa nobilissima meta, alla quale già primi tra tutti mirarono i nostri grandi pensatori. Però compirebbe un vero sacrilegio chi, dai disagi e dalle sofferenze che sopravvivono alla guerra e ci fanno aspirare ad una lunga era di pace, volesse trarre pretesto, per svalutare la nostra vittoria, per spegnere gli ideali e gli entusiasmi, mercé i quali potemmo conseguirla, per distrarre l'animo nostro dall'omaggio ai gloriosi morti, che ancora nei loro avelli fremono amor di patria, o dalla gratitudine verso i valorosi combattenti superstiti, ai quali l'Italia deve pensare sempre con tenerezza materna (vivi applausi). Al nostro esercito ed alla nostra marina noi dobbiamo la singolare ventura, che oggi ci è data, di accogliere nel seno della nostra più grande famiglia i degni rappresentanti di Trento e Trieste (vivi applausi). Per lunghi anni protendemmo fraternamente verso di essi le braccia, guardando alle sospirate balze alpine, alle rive dell'Isonzo, o all'ampia distesa dell'Adriatico, che attendevano quelle vittorie che nei secoli orneranno di lauro la fronte della nuova Italia (applausi).

Il vostro voto, così singolarmente benevolo per me, ha avuto la sanzione dal nostro amato Principe. Sicuro d'interpretare il pensiero unanime di questa Assemblea, io manifesto all'augusto Sovrano la profonda devozione del Senato. (Vivi e prolungati applausi; i senatori e i ministri si alzano e gridano: Viva il Re!).

L'Italia è una grande democrazia; anzi è una vera e genuina democrazia, poiché non ha, come l'hanno altre democrazie, nemmeno la più leggera tinta plutocratica. Né più democratici del nostro sono altri paesi retti da altra forma di Governo, poiché da noi, fino dagli albori del nostro risorgimento e dai primi vagiti della libertà, i fatti hanno dimostrato che l'istituto monarchico, impersonato nella lealtà di Casa Savoia, si adatta meravigliosamente a tutti i progressi, a tutte le riforme, a tutte quelle evoluzioni e trasformazioni politiche e sociali, che possono perfezionare una grande collettività nazionale ed avvicinarla sempre più ai puri ideali di uguaglianza e di giustizia. (Applausi). Re e Parlamento, nei suoi due rami, possono nelle ordinarie forme costituzionali attuare le più radicali modificazioni statutarie, le più ardite riforme sociali, senza che sia d'uopo ricorrere a quella straordinaria assemblea unica invocata da taluni come una benefica novità, mentre altro non è che l'inutile arnese di un vecchio dottrinarismo ormai sorpassato. (Vivi applausi).

Il Senato è così poco alieno da innovazioni e riforme, che nel suo stesso seno è sorta più volte l'iniziativa per riformare se stesso. (Bene). Fu soltanto dopo iniziative di senatori che alcuni partiti politici iscrissero tale riforma nel loro programma. Nessuna ripugnanza pertanto può esservi da parte nostra a discuterla, ma ad un patto e cioè che restino integri due principi, sui quali si pronunciò unanime la Commissione da voi nominata all'uopo, e cioè che il Senato non divenga un duplicato della Camera dei deputati e non perda in nessun caso quello che costituisce il suo speciale pregio, la sua precipua ragion d'essere e cioè la rappresentanza della dottrina, della coltura, degli studi, della competenza tecnica e dell'esperienza amministrativa e politica, acquistate in altre assemblee, o in pubbliche funzioni lungamente e nobilmente esercitate. (Benissimo).

Nel rivolgermi a voi non ho potuto non dare alle mie parole una intonazione ed un contenuto politico. Ed era naturale che ciò fosse, poiché voi costituite un'assemblea politica, benché le correnti politiche giungano qui attenuate, come le onde minacciose dell'Oceano si attenuano frangendosi nel lieve pendio d'una spiaggia senza scogli e senza rocce; benché in questo ambiente sereno si purifichino dalle scorie della esagerazione e dell'intemperanza partigiana (Bene). Ed anche ufficio politico è quello del vostro Presidente, intendendo, beninteso, questa parola non già nel senso ristretto delle piccole competizioni, o macchinazioni di partiti o di gruppi, alle quali egli deve rimanere scrupolosamente estraneo, ma nel senso elevato che alla parola stessa dettero già Platone, Aristotile e Cicerone, per i quali la politica riassumeva il desiderio intenso e l'opera alacre pel pubblico bene.

Generale è il desiderio di maggior vitalità ed attività del Senato. Debbono essere quindi eliminati metodi, procedure, abitudini che l'hanno ostacolati. Già recentemente provvide disposizioni furono introdotte nel regolamento per spezzare deplorevoli consuetudini. D'ora in poi il Senato non potrà essere più costretto nel breve intervallo tra le vacanze natalizie e capo d'anno, o nel mese di luglio, quando la Camera si è separata, a votare grandi riforme organiche frettolosamente e colla virtuale soppressione del diritto di emendamento e di ogni seria discussione. (Applausi).

Una più equa ripartizione del lavoro legislativo tra le due Camere, un migliore ordinamento dei lavori del Senato potrà risparmiare ai senatori che dimorano fuori di Roma la convocazione per brevi sedute che non si seguono, ma sono interrotte da continue pause e proroghe, in guisa che col tempo finisce per assottigliarsi la frequenza anche dei senatori più volonterosi. Altri opportuni provvedimenti dovranno essere escogitati, ed io mi propongo di esaminarli con voi.

Il Senato dovrà rendere ancora grandi servigi al Paese. Se la mia non è vana lusinga, io oso credere di aver insieme a voi una chiara visione dell'importanza del Senato e della sua futura azione ed una piena coscienza dei doveri del mio ufficio. Ad ogni modo, è fermo in me il proposito di adempierli zelantemente, mercé il vostro appoggio ed il vostro concorso, e di corrispondere alla fiducia del Sovrano e vostra consacrando ad essi tutto me stesso. (Benissimo).

In questa Roma il Senato ha antiche tradizioni, e non già quelle del Senato aristocratico dell'inizio della Repubblica, né quelle del Senato servile dell'Impero, ombra sopravvivente a se stesso, ma quelle del Senato democratico posteriore al plebiscito di Ovinio, che chiamò in esso la rappresentanza di tutte le classi sociali. Così il Senato poté essere appellato il pubblico consiglio del popolo romano, mentre agli stranieri parve un'Assemblea di Re.

Il Senato del Regno crebbe colle vicende e colla fortuna d'Italia. Guidato dal genio della Patria che esso sognò e volle sempre più grande concorde, prospera e felice, da Torino a Firenze e poi alla meta agognata di Roma eterna, intese e favori i mirabili ardimenti dei grandi uomini del nostro Risorgimento, e con essi e colla Camera elettiva, interpreti tutti del pensiero e del palpito del popolo italiano, preparò e secondò le mirabili gesta che raccolsero sotto una grande dinastia le genti italiche, che mai fazioni interne o oppressioni straniere riuscirono a conculcare. (Benissimo).

Ed oggi che il ciclo della risurrezione nazionale si compie colla conquista dei naturali confini, noi, fermamente fiduciosi nei destini della Patria, malgrado le difficoltà dell'ora che volge, che meglio e più sicuramente vinceremo quanto meno ce ne dissimuleremo la gravità, iniziamo i nostri lavori al grido entusiasta di Viva il Re, Viva l'Italia! (Unanimi e prolungati applausi; e Senatori ed i Ministri si alzano; grida ripetute di Viva il Re, viva l'Italia)

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