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Minerva Web
Rivista online della Biblioteca "Giovanni Spadolini"
A cura del Settore orientamento e informazioni bibliografiche
n. 76 (Nuova Serie), maggio 2024

Attorno a un epistolario privato di Giacomo Matteotti: da un libro di Fernando Venturini

La ricorrenza del primo centenario dalla morte dell'on. Giacomo Matteotti, avvenuta il 10 giugno 1924, ha dato occasione a numerose iniziative commemorative, le quali hanno anche trovato una base legislativa: la legge 10 luglio 2023, n. 92, recante le Celebrazioni per il centesimo anniversario della morte di Giacomo Matteotti, ha voluto valorizzare «la conoscenza e lo studio della sua opera e del suo pensiero in ambito nazionale e internazionale» (art. 1) disciplinando e sostenendo le occasioni celebrative (art. 2).

Tra gli enti in prima fila, naturalmente, non poteva mancare la Casa-Museo Giacomo Matteotti nella città natale del deputato, Fratta Polesine; appunto nei "Quaderni di Casa Matteotti" è uscito il saggio di Fernando Venturini, già consigliere parlamentare e attuale consulente della Biblioteca della Camera dei deputati, dal titolo Il Giaki e il Chini. Cronache della vita di Giacomo Matteotti e Velia Titta (Verona, Cierre edizioni, 2024). Venturini vi ricostruisce aspetti in ombra, spesso inediti, della vita del politico socialista, lasciando emergere a tutto tondo la sua figura - come pure quella meno nota della compagna di una troppo breve vita - senza tuttavia mai perdere di vista il più ampio quadro storico-politico.

La fonte principale sono le lettere tra Matteotti e la moglie, pubblicate a cura di Stefano Caretti (G. Matteotti, Lettere a Velia. Pisa, Nistri Lischi, 1986; V. Titta Matteotti, Lettere a Giacomo. Pisa, Nistri Lischi, 2000, a cui si aggiunge G. Matteotti, Epistolario 1904-1924. Pisa, Plus-Pisa University Press, 2012); a questo vibrante materiale Venturini affianca molta altra documentazione, tra cui spiccano gli atti parlamentari che già lo avevano guidato nella redazione di Note su Giacomo Matteotti nelle fonti parlamentari ("Tempo presente", 2021, n. 484-486, pp. 33-43), ma anche i principali quotidiani dell'epoca e le carte conservate presso l'Archivio centrale di Stato.

Del volume pubblichiamo, per gentile concessione dell'autore, parte dell'introduzione, senza alterarne lo stile redazionale; altri estratti dal volume possono essere letti sul blog dedicato alla pubblicazione.

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Il Giaki era Giacomo, il Chini era Velia. Con questi soprannomi tutti maschili, intimi e misteriosi, si scrivevano. E con altrettanti soprannomi, Giacomo Matteotti e Velia Titta parlavano dei loro tre figli: Gian Carlo era Chicco o Chicchino, Matteo era Bughi e Isabella era Cialda.

Giacomo, allora incerto tra la politica e la carriera universitaria, conobbe Velia nell'estate del 1912, durante un soggiorno tra le montagne toscane. Lui aveva 27 anni, lei 22. Da quel momento, furono legati da un amore profondo e dominante. Nel 1916, nel pieno della guerra mondiale, si sposarono. Nel 1918 ebbero il primo figlio.

Giacomo, assorbito dal socialismo, prima in Polesine, poi a Montecitorio, considerò Velia un rifugio di consolazione e di pace. Lei, cattolica, di salute incerta, amante dell'arte e della letteratura (aveva scritto un romanzo, firmandosi con uno pseudonimo maschile), accettò gli impegni del marito con coraggio, con apprensione, ma anche con curiosità e partecipazione. Diversamente da Filippo Turati e Anna Kuliscioff, la politica non fu mai al centro del loro dialogo, ma, sullo sfondo, lo alimentava e lo condizionava costantemente.

Giaki, nelle lettere a Velia, mescolava i sentimenti con la scarna cronaca delle sue giornate e dei suoi impegni in giro per l'Italia, a cui accompagnava, non di rado, rapidi giudizi sugli uomini e sulle vicende della politica. Velia leggeva sui giornali i resoconti delle sedute della Camera, leggeva i ritagli che Giacomo le faceva avere ed i libri che le consigliava. Restò lontana dalla vita pubblica del marito ma non estranea e, in alcune occasioni, ritenne giusto esprimere il proprio pensiero. Fu così anche quando arrivò il fascismo e Giaki ne divenne un bersaglio. Ma Velia, allora, aggiunse al suo amore una trepidazione sempre più angosciata e un allarme crescente che non le dava pace, accompagnato dal tarlo della stanchezza e del dubbio. Intanto, il socialismo, per il quale Giaki era vissuto, si frantumava e la vita di questa coppia felice precipitava nella lotta mortale e senza sosta del dopoguerra italiano.

Il 10 giugno 1924, Giacomo Matteotti fu rapito e ucciso da sicari fascisti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia. Aveva 39 anni. In quel momento, morì anche Giaki. Velia, che aveva 34 anni, restò sola. La sua fu la solitudine di chi aveva perso tutto. Cercò di dare un senso a quel sacrificio, ma vide negati intorno a sé ogni desiderio di giustizia e ogni illusione di pacificazione tra gli italiani. Presto si rifugiò in un'introspezione senza speranza, cercando di educare i figli all'esempio paterno. Quando il fascismo divenne regime, Velia sperimentò sulla sua pelle lo Stato di polizia, e fu sottoposta ad un controllo ossessivo e vessatorio di ogni movimento e di ogni frequentazione, in una sorta di vita sotto assedio. Si voleva ostacolare qualunque contatto con l'antifascismo e si temeva che la famiglia Matteotti potesse espatriare, portando all'estero coloro che rappresentavano la continuità del nome e del simbolo. Ma Velia, che era vissuta sempre lontana dagli ambienti del socialismo militante, non poteva immaginare per sé e per i suoi figli una vita da esuli politici.

Negli ultimi anni, la sua casa fu infestata da delatori che, facendo leva sulla sua prostrazione e sul rischio che la rovina economica potesse compromettere il futuro dei figli, la spinsero ad accettare un aiuto dal regime, che così si adoperò per avvelenare la memoria di Matteotti dopo averne voluto la morte. Velia, senza poter vedere l'Italia libera, morì il 5 giugno 1938.

Questa è la magra sintesi dell'intreccio di due vite, della relazione privilegiata tra un uomo e una donna nati alla fine dell'Ottocento e vissuti nell'epoca bella, per poi arrivare all'appuntamento con la guerra, la pandemia e la violenza politica.

Tra il matrimonio e la morte di Giacomo trascorsero poco più di otto anni. Ebbero la loro prima casa a Roma solo nel 1923, quando si stabilirono in un appartamento al quartiere Flaminio. Prima di allora, la guerra, la politica, la mancanza di una dimora comune, tennero spesso lontani questi due amanti. Così furono costretti a comunicare affidando alla scrittura i propri sentimenti, surrogato di un'intimità troppo spesso irraggiungibile.

Ci restano 449 lettere di Giacomo e 214 di Velia. I due epistolari, riletti in parallelo, costituiscono la fonte primaria di questo libro, che ha l'andamento di una cronaca, nella quale il passato remoto si alterna al presente storico laddove il focus è sul dialogo tra i due amanti.

[…]

Il carteggio tra Giacomo Matteotti e Velia Titta resta un dialogo intimo, destinato ad essere trasformato, ed infine travolto e soffocato, dall'irrompere violento della storia. Si può solo aggiungere che, in ogni circostanza, Giacomo ha voluto comunicare la pace interiore ed il coraggio che il dialogo con Velia gli dava. Come scrisse in una lettera del 1923, il suo animo si piegava costantemente verso di lei per avere aiuto «nella ricerca della via migliore», per poter leggere, nei suoi occhi, «la verità intera».

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Dal sito del Senato:

- Processo Matteotti in Senato. Dal fondo dell'Alta Corte di giustizia del Senato del Regno (1866 - 1948) [hompage dell'Archivio storico del Senato della Repubblica da cui è possibile accedere al fascicolo processuale intestato a Emilio De Bono]

In "MinervaWeb" leggi anche:

- Il Parlamento è (anche) una biblioteca / Fernando Venturini, 2022, n. 68 (n.s.)

- Libri, lettori e bibliotecari a Montecitorio. Storia della Biblioteca della Camera dei Deputati / Fernando Venturini, 2019, n. 53 (n.s.)

- Le biblioteche raccontate a mia figlia. Una visita guidata tra passato e futuro / Fernando Venturini, 2011, n. 3 (n.s.)

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